Friday 16 November 2007

Thursday 12 July 2007

Si torna in A, si riparte, contro tutto e tutti
























11 luglio 2007: la nuova Juve riparte da Vinovo. Magliette da passeggio rosse fiammanti, sorrisi e strette di mano, Del Piero e compagni si sono radunati questo mercoledi, pronti per l'avventura più difficile, interessante ed emozionante di sempre: la prima volta, nella sua ultracentenaria storia, da neopromossa.
E' passato quasi un anno da quel tragico 14 luglio 2006: una sentenza ormai annunciata spediva i bianconeri in serie B con 30 punti di penalizzazione (penalità che sarebbe poi stata ridotta a 17 punti, e infine a 9). Un'umiliazione per tutto il popolo juventino, nonchè lo smembramento di una squadra fortissima e solidissima, con in più l'atroce beffa di vedere gente come Ibrahimovic e Vieira finire all'Inter. Quell'Inter che nel giro di nove mesi si sarebbe poi presa uno scudetto a tavolino, uno sul campo ma frutto di decisioni in tribunale e il disprezzo dell'Italia del calcio, schifata dall'arroganza dei suoi uomini-guida, che sbandieravano ai quattro venti la loro onestà e superiorità.
Adesso, però, la musica è cambiata. Il 19 maggio, al termine di una stagione sofferta, strana, a tratti quasi surreale, il 5-1 di Arezzo ha restituito alla Juve il suo posto di sempre: la serie A.
Come si comporterà il nuovo corso bianconero? Proviamo a fare il punto della situazione fino a qui, consapevoli che si tratta di impressioni e non certo di sicurezze indistruttibili.
La vecchia guardia
Di sicuro era il problema più spinoso. Resteranno i vari Buffon, Nedved, Trezeguet, Camoranesi? Dalla loro decisione sarebbe dipesa gran parte della campagna acquisti bianconera, nonchè i destini della stagione. Soprattutto il futuro di Gigi preoccupava non poco: con lui, 15-20 punti in classifica sono garantiti. Il portiere della Nazionale ha riflettuto a lungo, a lungo è stato accostato a Milan e Inter, ma i rinnovi di Dida e Julio Cesar l'hanno sempre più avvicinato alla conferma. La quale è puntualmente avvenuta, con rinnovo del contratto che lo blinda praticamente a vita a Torino.
Una volta firmato lui, gli altri l'hanno seguito a ruota, anche se con un po' di apprensione. Nell'ultima partita di serie B, in casa contro lo Spezia, Trezeguet ha segnato il suo quindicesimo gol stagionale; poi si è girato verso la tribuna dove sedeva la dirigenza e, mimando con le mani il numero delle sue reti, ha inequivocabilmente fatto capire che "io ho fatto quello che avevo promesso, e adesso me ne vado", ribadendo il concetto nelle interviste del dopo partita. Un gesto che ha fatto il giro del mondo, e che ha reso necessario ricucire lo strappo con lo straniero più prolifico nella storia del club (140 gol in sette anni, non esattamente bruscolini). Trezeguet ha finito per rinnovare, lo stesso ha fatto Camoranesi, colui che sembrava essere il più arrabbiato e deluso di tutti a cominciare dal luglio scorso, quando era rimasto più per costrizione che per scelta personale, sperando in una chiamata di Lione o Valencia per l'anno venturo.
Nedved giocherà un altro anno, dopo aver spaventato tutti dichiarandosi deluso dal primo incontro; una cena a due tra lui e Secco ha messo tutto a posto. Di Del Piero non parliamo, ovviamente: lui è il capitano, lui è la Juve: non ha ancora rinnovato il contratto (in scadenza nel 2008), ma Alex è bianconero a vita, lo si sa da tempo.
L'allenatore
Non è bastata la promozione a Didier Deschamps. Il francese, che aveva accettato di traghettare la Juve nell'anno più nero della sua storia, si è dimesso a seguito della gara di Arezzo, all'indomani della festa-promozione. Andato in panchina a Mantova la domenica successiva, se n'è poi andato carico di tristezza, si dice per incomprensioni con il direttore sportivo Alessio Secco riguardo alle strategie di mercato. Qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo, non giudicando Didì adatto ad un campionato come la serie A.
Dopo la sua partenza, le ipotesi sul sostituto si sono rincorse come sull'autodromo di Indianapolis. Prandelli, Novellino, Guidolin i nomi più gettonati. Ma la Juve aveva un sogno: riportare a Torino Marcello Lippi, il CT del Mondiale di Germania, della Coppa alzata dopo 24 anni; ma, soprattutto, l'allenatore che ha vinto tutto in bianconero, riportando la Juve in cima all'Italia e all'Europa dopo un decennio avaro di trofei.
Lippi, però, non si sentiva pronto. Sostenevano che si fosse accasato con il Milan, e che sotto il Duomo si sarebbe portato Buffon. Dicevano che sarebbe potuto arrivare a campionato iniziato, con Antonio Conte a iniziare la stagione per poi lasciargli il timone. Nessuno aveva ragione. La verità è che il Paul Newman italiano aveva in mente di riposarsi ancora per un po', indipendentemente dalla destinazione; così, è stato chiamato Claudio Ranieri, romano, che in carriera non ha vinto niente, ma che ha traghettato un Chelsea non ancora pieno di campioni strapagati alla semifinale di Champions League e a giugno ha condotto il Parma a una salvezza che a Natale sembrava impossibile. Le prime dichiarazioni del mister sono state di elogio per la società e di battaglia: vogliamo dar fastidio a tutti, non mi va di pronunciare la parola scudetto, voglio solo provare a vincerlo, e avanti su questo tono. Ai tifosi è subito piaciuto. Toccherà a lui giudare la Juve verso la completa resurrezione.
Il mercato
Ed eccoci alla parte più interessante della nostra analisi. D'accordo, la Juve è di nuovo in serie A, ma con chi giocherà l'anno prossimo? Quali saranno gli acquisti? Saprà la nuova dirigenza farsi rispettare in sede di calcio mercato?
Detto delle conferme dei big, gli acquisti erano un grosso punto di domanda. Fin da marzo, ovvero da quando si è capito che la Juve al 99,9% non avrebbe mancato la promozione, sono usciti migliaia di nomi, senza criterio.
Grygera e Salihamidzic sono arrivati a parametro zero fin dall'anno scorso. Due buoni acquisti, ma è chiaro che il popolo voleva altro.
I nomi sono stati tantissimi, veri o falsi che fossero. Frings a un certo punto ha confermato di essere stato a Torino e di aver quasi deciso di firmare, ma alla fine ha rinnovato con il Werder Brema. Huntelaar è stato seguito a lungo (ed è seguito tuttora, anche se la conferma di Trezeguet ha reso il suo acquisto meno urgente), Saviola poteva arrivare gratis ma è mancato l'affondo decisivo, Rio Mavuba era più che altro un pallino di Deschamps: partito lui, il centrocampista francese non ha più avuto chances.
Ad ogni modo, la Juve aveva bisogno di almeno due centrali difensivi, di un centrocampista, di un attaccante di riserva.
Iaquinta non si discute: ottimo attaccante, prima punta che non disdegna l'esterno destro (usato così da Lippi al Mondiale), sette anni importanti a Udine.
Almiron a Empoli è stato strepitoso, non solo per i gol: se i toscani hanno raggiunto lo storico traguardo della Coppa UEFA, molto del merito è di questo argentino che è il sosia di Veron non solo nell'aspetto fisico. Tutto da verificare in una realtà completamente diversa, ma il talento non manca.
Tiago è il vero grande colpo di Secco: il portoghese è reduce da due splendide stagioni al Lione dominatore in Francia e nettamente cresciuto in Europa; con Juninho Pernambucano ha formato una linea insormontabile e di grande qualità in mezzo al campo. Ricorda molto Perrotta nello stile e negli inserimenti continui verso la porta. D'accordo, in Italia non ha mai giocato, ma è lo stesso discorso che si sarebbe potuto fare per Kakà, Zidane e Ronaldo. A lui Ranieri affiderà le chiavi del centrocampo; a lui, che ha detto di voler rinverdire i fasti portoghesi a Torino, memore di Rui Barros e, soprattutto, Paulo Sousa.
Jorge Andrade merita un capitolo a parte. Abbiamo detto che la Juve aveva un disperato bisogno di un difensore centrale. Criscito, riscattato dal Genoa, è un affare: 20 anni, futuro già scritto, ma da affiancare a un uomo di esperienza e maturità (addirittura si sta pensando di lasciarlo un altro anno in Liguria: chi scrive non è per niente d'accordo con questa soluzione).
Secco e Blanc si sono rimboccati le maniche e hanno setacciato l'Europa alla ricerca di una firma. Il ritorno di Cannavaro (non del tutto sfumato), Luisao del Benfica, Alex del Chelsea (ma parcheggiato al PSV), Barzagli. Poi è sbucata la pista Gabriel Milito: l'argentino del Saragozza è arrivato a un passo dal vestire il bianconero; senonchè il club spagnolo si è montato la testa e ha scatenato un'asta intorno al suo gioiello (?), asta vinta infine dal Barcellona, che dopo Henry, Abidal e Yaya Toure ha speso 20,5 milioni di Euro per un giocatore che forte lo è, ma nemmeno così tanto.
Ancora più assurda la vicenda Pepe: per il centrale brasiliano, fermo da tempo per un grave infortunio, il Porto si è visto versare nelle casse addirittura 30 milioni di Euro. Da chi? Ma dal Real Madrid, ovviamente, dal momento che Calderon di calcio capisce meno di un neonato e ha acqustato lui e Metzelder pur avendo in rosa Sergio Ramos e Cannavaro (e Cicinho a destra, dichiarato incedibile nello stesso istante in cui il presidente chiedeva Daniel Alves al Siviglia). Per questo qualche nostalgico della corazzata che fu ha letto in questa operazione un possibile ritorno dell'attuale Pallone d'Oro, che in effetti non è da escludere (anche se Ranieri ha chiuso le porte a questa eventualità, si parla comunque di un'offerta di sei milioni). Così alla fine, per 9,5 milioni di Euro, è stato preso Andrade, titolare della nazionale portoghese, miglior giocatore di Euro 2004, bloccato quest'anno da un infortunio ma di sicuro affidamento. Solo per il prezzo, è un affare. In più, è un giocatore rapido e preciso nelle chiusure, non male neppure in fase di impostazione, e con grande esperienza in campo internazionale (al proposito, Buffon ha detto: "Ancora mi ricordo le 'bambole' che prendevamo col Deportivo"). Il suo contratto non è stato ancora depositato in Lega ("Mancano un paio di dettagli", ha fatto sapere l'a.d. Blanc), e si mormora di una clausola di rescissione nell'anno solare in caso di nuovo crack del ginocchio.
E' evidente, a mio parere, che il mercato non è chiuso. Le priorità sono state portate a termine, ma ci sono margini per altri colpi. Se la Juve avesse voluto UNICAMENTE un difensore, avrebbe speso 20 milioni per Milito, che era la prima opzione; il fatto che ne siano stati sborsati meno della metà (e, sia detto per inciso, Andrade vale più di Milito) fa pensare che possa arrivare, che so, Barzagli (anche se Zamparini l'ha blindato, dimostrando ben poca riconoscenza dopo che gli abbiamo praticamente regalato Miccoli).
Sul fronte attacco, siamo a posto così: Trezeguet-Del Piero titolari, Iaquinta e Palladino pronti a subentrare: non avendo una Champions League da giocare, quattro uomini vanno più che bene. Meglio però cautelarsi per il futuro: Huntelaar potrebbe arrivare con 15 milioni, e un anno a osservare e giocare qualche partita con la "supervisione" di Trezeguet non potrebbe che fargli bene.
Capitolo giovani: anche qui, le strategie mi sembrano buone. Sono partiti Paro e Giovinco, certamente sacrificabili per un anno (Giovinco è un campioncino, ma ha bisogno di giocare con continuità per formarsi); sono rimasti Marchisio (era fondamentale, non è escluso che possa fare il titolare...), Palladino, Molinaro e Criscito, anche se quest'ultimo potrebbe andarsene per un'altra stagione. Nocerino, dato alla Fiorentina prima, al Napoli, poi, all'Udinese dopo ancora infine nuovamente alla Fiorentina, è stato blindato da Secco. Ottimo: il ragazzo è già titolare indiscusso dell'Under 21 e presto sentiremo parlare di lui. Infine, sembra sia stato bloccato Cacia, 14 gol lo scorso anno a Piacenza: l'attaccante verrebbe lasciato in Emilia almeno fino a gennaio.
Insomma, volendo dare un voto all'operato della società fino a oggi, non potrei che dare un bell'8, pieno. In attesa, certo, della chiusura del mercato; ma, ancor prima, del 26 agosto, data in cui prenderà il via il campionato. E, ovviamente, di Juve-Inter...







Monday 9 July 2007

IL MANIFESTO DI CLAUDIO RANIERI

Signor Ranieri, sta aspettando più lei la Juve o più la Juve lei?
"Siamo tutti curiosi di tutto, io per primo. Sento una grande elettricità. Tra pochi giorni comincia la più grande avventura professionale della mia vita".

Cosa la incuriosisce?
"Capire cos'è, oggi, la squadra chiamata Juventus. E cosa potrà diventare. E in quanto tempo".

Sarà impossibile non paragonarla all'ultima Juve in serie A: due scudetti, più tutto il resto.
"Ma quella squadra non esiste più. Ha perso tanti campioni, ha giocato in serie B, è tornata. Però adesso è un'altra cosa".

Che tipo di cosa?
"Una cosa nuovissima".

Ce la racconti.
"Le difficoltà saranno soprattutto mentali, non tecniche, non tattiche. La gente aspetterà sfracelli da noi, perché siamo la Juve e questa è la nostra vocazione storica. Però, attenti a non perdere di vista la realtà".

Basteranno le motivazioni, la rabbia, la voglia di rivincita?
"Saranno eccezionali moltiplicatori di energia. Nessuno, quest'anno, sarà più caricato di noi, questo è poco ma sicuro".

La carica speciale vi permetterà di battervi alla pari con Inter e Milan? "Ragioniamo freddamente, io non voglio illudere nessuno. Il sogno mi piace, la realtà di più. Le squadre sono fatte di sfumature: una piccola parola dell'allenatore, un cenno, e il giocatore capisce al volo. Ecco, questo le nostre avversarie ce l'hanno già, noi no".

È un invito alla pazienza? Saprà che i tifosi ne hanno sempre pochissima.
"Contro Inter e Milan, e contro tutti, ci batteremo ad armi pari. Se sei la Juve devi puntare a vincere subito e sempre. Dire che ci riusciremo sarebbe un proclama, giurare che ci metteremo l'anima è un dovere".

La parola scudetto è proibita?
"Non mi va di pronunciarla, mi va di provare a vincerlo".

Gli arbitri vi tratteranno in modo speciale? "Sia chiaro: la Juventus ha finito di scontare tutte le sue colpe, niente carichi pendenti. Se ci sarà un rigore a nostro favore, bisognerà fischiarlo. Mi spiego?".

Si spiega eccome. Mette le mani avanti?
"Seguendo la B da lontano, ma con occhio attento, quest'anno ho notato che talvolta non sono stati concessi alla Juve rigori sacrosanti. Non va bene. Chiedo agli arbitri di essere seri e responsabili, e ai miei giocatori di restare calmi e sereni. Il passato è passato".

Crede che la gente ne sia altrettanto convinta?
"I dirigenti hanno avuto il coraggio di ripulire completamente la casa. L'alone di sospetto è sparito, altrimenti sarebbe un'ingiustizia".

La Juventus ha scelto il miglior allenatore possibile?
"Ah ah ah, il meglio che c'era, è ovvio. Scherzi a parte, so che il sogno era un ritorno di Lippi. Giusto. Per me è un onore essere considerato il più adatto dopo di lui".

Anche per Lippi, la Juventus fu la prima grande occasione.
"Arrivò qui più giovane di me, e con meno esperienza. Ma tutti e due abbiamo avuto a disposizione una Ferrari".

È il tema del mese, da Capello in giù: meglio vincere o meglio il bel gioco?
"Meglio essere italiani, cioè forti, competitivi e fieri della nostra tradizione. Poi, se sei bello di solito vinci. Il Barcellona bellissimo vinceva, quello un po' meno bello ha perso".

La sua Juventus sarà bella?
"Sarà pratica. E se saprà anche piacere, meglio".

Quale virtù possiede Claudio Ranieri?

"Sa cavare il massimo da ogni giocatore".

Come vorrebbe la Juve?
"Eclettica, guastafeste. Una squadra camaleonte. I nostri calciatori sono abituati al 4-4-2? Okay, vediamo se è possibile aggiungere anche qualcosa di diverso. Parlerò, ascolterò, proverò. Giocheremo tante amichevoli proprio per questo. E sceglierò sempre basandomi su dati concreti, senza preclusioni. Mai guardato l'età o il pedigree di nessuno".

Che dire, dunque, dell'età e del pedigree di Alessandro Del Piero?
"Per me, la Juve è Del Piero. Stop. Mi ricordo quel giorno, con la mia Fiorentina stavo vincendo due a zero a Torino contro i bianconeri, poi si perde 3-2 e Del Piero inventa quel gol pazzesco in spaccata volante. Ecco chi è lui, per me".

Pensa che Trezeguet sia davvero felice di essere rimasto?
"Certo che sì. Quel suo famoso gesto con la mano mi stupì moltissimo: lo interpretai come la grande delusione di un ragazzo che non credeva di far parte di un progetto. Non era un problema di soldi o di contratto, solo di fiducia. Per quanto mi riguarda, non ho mai immaginato la Juve senza Trezeguet".

Si è convinto anche Camoranesi?
"Sono sicuro di averlo a disposizione, al meglio".

Avete preso Andrade?
"Lo aspetto, è il centrale difensivo che serviva: il capitano della nazionale portoghese, grande personalità, un leader. È reduce di un infortunio, però ha giocato ventidue partite col Deportivo La Coruña".

Sono previsti altri colpi di mercato?
"A occhio, siamo coperti in tutti i ruoli".

Il centrocampo non è un po' troppo offensivo?
"Tiago e Almiron sono due campioni, e non fatemi nominare gli altri. Tiago, in particolare, è anche abilissimo nel coprire, recupera centinaia di palloni. Nel Chelsea formava una robustissima cerniera con Makelele, dietro Lampard".

Nedved voleva quasi mollare.
"Mai visto nessuno correre così. Non smetterà certo adesso".

Dopodomani comincia il ritiro dell'anno zero: qual è il sogno di Claudio Ranieri?
"Che la Juve sia subito Juve. Che tutti entrino presto in sintonia: dipende solo da noi".

C'è un modo per riuscirci?
"I veterani devono trascinare i giovani, spiegando cosa significa Juventus. Sarà come un contagio. Ecco, io sogno un'epidemia bianconera".

Wednesday 4 July 2007

Considerazioni intorno a una stagione


Travestito da sogliola nelle chiare fresche acque della fonte Gaia, prima di trovare sollievo dal bordello del dico e non dico, delle terne arbitrali che non sembrano linci, da chi ama Markovski ma lo trova sempre difficile da misurare, da chi ama Pianigiani, ma trova sempre difficile dirgli bravo per le cose che fa bene e attento per quello che un esordiente può anche sbagliare. Via dalla pazza folla degli adulatori, di quelli che sapevano tutto troppo presto, fuga verso strade che non sono autostrade seguendo il pensiero di Pedro W. che non sempre si diverte se tratti male quelli che devono essere trattati male, scoprendo l’ipocrisia dopo l’ultimo sorriso, perché nella sostanza esiste un cielo dove si sentono tutti angeli, anche se non sono degni di essere considerati la nuova tribù del verbo essere.

Castagneti, funghi, zone del silenzio ascoltando bene cosa dice Vecchioni, cosa canta Alice, come raccontano il mondo quelli di Viva la Rai, facendo sosta, all’andata e al ritorno, nella contrada di Valserena, ai confini fra Emilia e Toscana, sopra Pian del Voglio, facendo la guardia alla casa del commissario P., di fianco a troppe case che Carlo, il genio del luogo, vorrebbe venderti dopo aver accontentato il palato e la mente. Ultimo viaggio per chi legge queste note. Ultimo sorso, ultime gocce.

Doveva vincere Siena perché era la più forte, così è accaduto. In finale poteva trovare le tre peripatetiche arrivate insieme a pari punti in quello che era il secondo posto di Lucignolo. Tutti Davide che, come dice argutamente Bianchini, hanno scoperto in fretta che al meglio delle cinque vincerebbe sempre Golia, se poi è un Golia bello e ben organizzato addio fichi. Milano è andata per terra perché non aveva fame, non aveva gioco, ma, soprattutto, non aveva difesa. Roma è andata fuori perché non aveva linci al seguito, perché era sbagliata alla nascita ed è cresciuta portandosi dietro tare di una malattia infantile che era poi il suo limite, Bodiroga a parte, si capisce, Repesa a parte, si capisce, anche chi lo punzecchia da Lillipozia sa bene che quando devi costruire sulle svendite, sugli scarti, su giocatori dal volto mascherato, puoi arrivare vicino all’oasi dei desideri, ma senza poterti abbeverare. La Virtus è stata l’ultima a cedere e lo ha fatto da grande società, con una discreta squadra, un eccellente allenatore, lo ha fatto anche se la serie di infortuni le hanno tolto le armi di cui aveva bisogno nel cuore dell’area, anche se ha camminato sul filo del rasoio inventandosi di tutto, ma non poteva bastare e sui brindisi festosi, gli allenamenti in piazza discuteremo in altri momenti, anche sotto la pressione di chi urla: se lo avessimo fatto noi ci avrebbero crocifisso dopo certe percentuali di tiro. Faticoso capire proprio tutto, difficile scoprire se è meglio fare o è meglio dormire.

Queste quattro vanno in Europa. Fa paura sapere che si sentono già in difficoltà perché sul piano economico la battaglia sarà durissima per avere giocatori che servono nell’unica vera grande arena di un basket europeo che così male non deve essere come hanno scoperto nella NBA decidendo che i premi andavano proprio a ragazzi cresciuti ai margini del sistema, anche se poi tutti si sono adeguati e finiranno nella globalizzazione del gioco isolato per marchesini del Grillo che zompano, zompano e devono essere curati dall’analista.

Siena è quasi pronta. Due incastri e sarà competitiva, ma ora deve pensare al palazzo nuovo, al charter fisso per risparmiare notti troppo lunghe, settimane senza tanti allenamenti, badando bene che non succeda come dopo il primo scudetto quando i grilli intorno al Campo hanno cominciato a parlare bene soltanto delle cicale, schiacciando le formiche operose.

Milano sembrava assetata di grande teatro, ma dopo aver sentito il Corbelli dichiarare che l’allenatore preferito, lo Scariolo malagueno, costa troppo, siamo rimasti tutti un po’ male. Ma come, con dietro Armani, tutti quegli sponsor, si parla di costi troppo alti? Certo non si predica per avere dei fessi che sprecano denaro, ma se gli stessi che hanno dato certi stipendi si fermano davanti al discorso quattrini per un tecnico che ormai sembra necessario è avvilente. Soprattutto perché i fatti hanno dimostrato che Djordjevic era stato lasciato solo, perché il biennale per Natali fa capire che il domani non sarà mai costruito su questa coppia manager - allenatore, perché mentre si fa il giro tondo di chiese sconsacrate altri portano via giocatori che qualcuno già vedeva in casacca Olimpia, tipo Goree.

Pagellone sul tigellone, ascoltando Tigellino, pagellone per le finaliste più che per i comprimari.

10 e lode a Romain Sato che tiene le sue mani forti sul sistema Montepaschi. Direte che è ripicca perché preferivamo lui a Mc Intyre come giocatore dell’anno. Forse. 10 A Minucci e Sabatini perché pur per strade diverse hanno disegnato due progetti che vale la pena di seguire.

9 al Kaukenas dell’ultimo tiro, delle grandinate contro Roma e Virtus fuori casa, delle partite da sesto uomo, delle sofferenze per aver dovuto sopportare quello che la logica gli diceva non fosse tanto logico. Magari tutti ascoltassero la voce della società e dei tecnici che sono pagati per guidare certi uomini, per sposare certe teorie. Restiamo nel dubbio aspettando l’autunno degli agenti bla bla blum.

8 a Guillerme Giovannoni perché dopo tanti tentativi pensavamo che non sarebbe mai arrivato ad essere il giocatore che vediamo adesso con la maglia Virtus.

7 A Joseph Forte che nell’euforia finale non si è dimenticato di ringraziare chi gli ha costruito intorno le mura per poter pensare sempre, o quasi sempre, al basket della squadra più che al suo.

6 ad Andrea Crosariol perché non avevamo visto male quando gli chiedevamo di pensare in grande, di pensare come pedina base per il gioco Virtus. Perché diffidiamo ancora dei suoi sorrisi perduti nel nulla. Perché ci hanno detto che sembrava crudeltà stuzzicarne orgoglio e ricerca di miglioramenti costanti. Perché lui dimostra che nella carestia se punti su certi giocatori italiani arrivi comunque ad avere qualcosa di più che da certi giullari con la bandana dello zio d’America.

5 a Rodolfo Rombaldoni perché siamo sicuri che avrebbe potuto essere più importante negli scudetti Fortitudo e Montepaschi, nelle medaglie azzurre. Lui è la fotografia di come troppa sensibilità, intelligenza, educazione, vengano spesso considerate qualità di secondo piano.

4 all’Amoroso fuggito dalla Cina, dalla maglia azzurra perché avrà avuto anche motivi seri, ma qualcosa non ci convince e questo andrà valutato da chi vorrebbe prenderlo da Montegranaro.

3 al genio del male che ha voluto una quinta partita fra Panathinakos ed Olympiakos a chi non ci ave va avvertito che i campioni d’Europa erano in flessione e la delusione d’Europa aveva ritrovato un passo, un tiro.

2 alla Lega per aver accettato tutte le finali in notturna, per non aver mai deliberato sulla obbligatorietà dell’aria condizionata, per non averci ancora urlato, tutta insieme: vogliamo migliorare imitando i più bravi.

1 ad Ettore Messina che rientrato in Italia è finito in ospedale per un brutto virus. Lui la chiamerà sfortuna, noi ci siamo sentiti orfani, Markovski si è sentito unica calamità per lo sberleffo, Pianigiani si è sentito defraudato perché voleva dimostrargli come i giovani allenatori italiani crescono ispirandosi a lui. Chi vuole aggiungere uno zero e farlo diventare 10 non troverà ostacoli.

0 al Corbelli che conferma e non conferma, che parla di allenatori troppo costosi per una società che aveva promesso al suo pubblico di fare tutto per essere ancora fra le prime in Europa. Svenarsi non ha senso, sbagliare investimenti è già stato fatto, ma risparmiare sui tecnici dimostra come il mare resti profondo per certi uomini rana.

Friday 29 June 2007

NBA Draft 2007


Stanotte, al Madison Square Garden di New York, si è tenuto il tanto atteso draft NBA. Atteso per due motivi: primo, per l'enorme potenziale che quest'anno approda tra i professionisti; secondo, per fare chiarezza e dare un minimo di concretezza alle possibili trade paventate nei giorni scorsi, Bryant e Garnett su tutti.

Per inciso, i due big per ora non si sono mossi da Los Angeles e Minnesota: troppo complesse le trattative per chiuderle in una sola notte.

Parlando di draft, nessuna sorpresa ai primi due pick: Greg Oden e Kevin Durant si accasano a Portland e Seattle, come da amplissime previsioni. Piuttosto, i Trail Blazers concretizzano una trade che, a parer mio, dà ancora più peso ad una franchigia che può seriamente tornare a grandi livelli: nell'Oregon sbarcano Steve Francis e Channing Frye (fino a pochi giorni fa ritenuto incedibile dall'entourage di New York); la Grande Mela accoglie Zach Randolph, Fred Jones e Dan Dickau, in un ennesimo smantellamento del roster alla disperata ricerca di risalita dal baratro.

Altro scambio importante è quello messo in piedi da Boston: i Celtics acquisiscono Ray "He got game" Allen da Seattle, che decide così di puntare tutto su Durant, e gira alla Emerald City Delonte West, Wally Sczerbiack (che il suo prime l'ha avuto ai tempi in cui affiancava Garnett ai TWolves) e la quinta scelta del draft, ovvero Jeff Green, scelto dai Sonics pochi minuti dopo l'affare. I tifosi dei Celtics, almeno a guardare i vari blog e forum, non sembrano averla presa troppo bene: ai biancoverdi serve più che altro un lungo, e invece è arrivata una point guard di 32 anni, pur dotata del miglior tiro da fuori di tutta la Lega.

Segue l'elenco dei primi due giri di chiamate, non prima di aver ricordato che Marco Belinelli è stato scelto con il numero 18 dai Golden State Warriors (erano la sua seconda preferenza) e, un po' per il gioco voluto da Nelson, un po' per la cessione di Jason Richardson a Charlotte, può avere molto spazio. I miei Lakers invece hanno puntato, oltre che sul cinese Sun Yue e su Marc Gasol, fratello di Pau, al secondo giro, sul playmaker di Georgia Tech Javaris Crittenton, 14.4 punti e 5.3 assist con gli Yellow Jackets, a lungo dato, nei mock predraft, in una posizione tra la 11 e la 14.

Sarò scettico e ormai deluso, ma prendere un play, per di più ancora acerbo, nel ruolo in cuisi è deciso di puntare su Farmar... non sarà, come sostiene qualcuno, che Kupchack e soci abbiano capito che Bryant non si può più trattenere e stiano cercando di impostare i prossimi anni sulle Lottery per rifondare da zero?

(un po' come fece Chicago agli inizi del 2000, per intenderci, obiettivo piuttosto riuscito).

Tra qualche giorno scopriremo la prima parte dell'enigma...

ROUND ONE

1. Portland Trail Blazers
Greg Oden, Center, Ohio State

2. Seattle SuperSonics
Kevin Durant, Forward, Texas

3. Atlanta Hawks
Al Horford, Forward/Center, Florida

4. Memphis Grizzlies
Mike Conley Jr., Guard, Ohio State

5. Boston Celtics
Jeff Green, Forward, Georgetown (to Seattle)

6. Milwaukee Bucks
Yi Jianlian, Forward, China

7. Minnesota Timberwolves
Corey Brewer, Forward, Florida

8. Charlotte Bobcats
Brandan Wright, Forward, North Carolina (to Golden State)

9. Chicago (from New York)
Joakim Noah, Forward/Center, Florida
10. Sacramento Kings
Spencer Hawes, Center, Washington

11. Atlanta Hawks (from Indiana)
Acie Law IV, Guard, Texas A&M

12. Philadelphia 76ers
Thaddeus Young, Forward, Georgia Tech

13. New Orleans Hornets
Julian Wright, Forward, Kansas

14. Los Angeles Clippers
Al Thornton, Forward, Florida State

15. Detroit Pistons (from Orlando)
Rodney Stuckey, Guard, Eastern Washington

16. Washington Wizards
Nick Young, Guard/Forward, Southern California

17. New Jersey Nets
Sean Williams, Forward/Center, Boston College

18. Golden State Warriors
Marco Belinelli, Guard, Italy

19. Los Angeles Lakers
Javaris Crittenton, Guard, Georgia Tech

20. Miami Heat
Jason Smith, Forward/Center, Colorado State (to Philadelphia)

21. Philadelphia 76ers (from Denver)
Daequan Cook, Guard, Ohio State (to Miami)

22. Charlotte Bobcats (from Toronto)
Jared Dudley, Forward, Boston College

23. New York Knicks (from Chicago)
Wilson Chandler, Forward, DePaul

24. Phoenix Suns (from Cleveland)
Rudy Fernandez, Guard, Spain (to Portland)

25. Utah Jazz
Morris Almond, Guard, Rice

26. Houston Rockets
Aaron Brooks, Guard, Oregon

27. Detroit Pistons
Arron Afflalo, Guard, UCLA

28. San Antonio Spurs
Tiago Splitter, Forward, Brazil

29. Phoenix Suns
Alando Tucker, Forward, Wisconsin

30. Philadelphia 76ers (from Dallas)
Petteri Koponen, Guard, Finland (to Portland)

ROUND TWO

31. Seattle SuperSonics (from Memphis)
Carl Landry, Forward, Purdue

32. Boston Celtics
Gabe Pruitt, Guard, Southern California

33. San Antonio Spurs (from Milwaukee)
Marcus Williams, Forward, Arizona

34. Dallas Mavericks (from Atlanta)
Nick Fazekas, Forward, Nevada

35. Seattle Supersonics
Glen Davis, Forward, Louisiana State (to Boston)

36. Golden State Warriors (from Minnesota)
Jermareo Davidson, Forward, Alabama (to Charlotte)

37. Portland Trail Blazers
Josh McRoberts, Forward, Duke

38. Philadelphia 76ers (from New York)
Kyrylo Fesenko, Center, Ukraine (to Utah)

39. Miami Heat (from Sacramento)
Stanko Barac, Center, Bosnia (to Indiana)

40. Los Angeles Lakers (from Charlotte)
Sun Yue, Guard, China

41. Minnesota Timberwolves (from Philadelphia)
Chris Richard, Forward, Florida

42. Portland Trail Blazers (from Indiana)
Derrick Byars, Guard/Forward, Vanderbilt (to Philadelphia)

43. New Orleans Hornets
Adam Haluska, Guard, Iowa

44. Orlando Magic
Reyshawn Terry, Forward, North Carolina (to Dallas)

45. Los Angeles Clippers
Jared Jordan, Guard, Marist

46. Golden State Warriors (from New Jersey)
Stephane Lasme, Forward, Massachusetts

47. Washington Wizards
Dominic McGuire, Forward, Fresno State

48. Los Angeles Lakers
Marc Gasol, Center, Spain

49. Chicago Bulls (from Golden State)
Aaron Gray, Center, Pittsburgh

50. Dallas Mavericks (from Miami)
Renaldas Seibutis, Guard, Lithuania

51. Chicago Bulls (from Denver)
Jameson Curry, Guard, Oklahoma State

52. Portland Trail Blazers (from Toronto)
Taurean Green, Guard, Florida

53. Portland Trail Blazers (from Chicago)
Demetris Nichols, Forward, Syracuse (to New York)

54. Houston Rockets (from Cleveland)
Brad Newley, Guard, Australia

55. Utah Jazz
Herbert Hill, Forward/Center, Providence (to Philadelphia)

56. Milwaukee Bucks (from Houston)
Ramon Sessions, Guard, Nevada

57. Detroit Pistons
Sammy Mejia, Guard, DePaul

58. San Antonio Spurs
Giorgos Printezis, Forward, Greece (to Toronto)

59. Phoenix Suns
D.J. Strawberry, Guard, Maryland

60. Dallas Mavericks
Milovan Rakovic, Forward, Serbia (to Orlando)

Wednesday 27 June 2007

La Finale che non è stata


Per qualche giorno ho riflettuto sul titolo da dare alle 4 righe con le quali chiudere l'immaginario volume di questi playoff. "La Finale che non è piaciuta a nessuno", soprattutto in riferimento all'indice d'ascolto americano, che avra' fatto dormire poco e male il nostro avvocato con gli occhiali; la cosa però mi avrebbe attirato le "simpatie" di tutto quel popolo Spurs che anni di titoli e trio delle meraviglie hanno contribuito a creare.

Ho quindi ripiegato su quello che, a mio modesto avviso, poteva essere e non è stato. Stavolta non abbiamo avuto a che fare con il suicidio, emotivo prima che tecnico, di una Dallas 2006, fortissima ma disabituata a queste altitudini, capace poi di tirare nel water un titolo vinto per 3 quarti, finito invece come tutti ricordiamo.

Stavolta avevamo una squadra perennemente abituata alle finali, e perennemente abituata a vincerle, con i tre uomini chiave arrivati sani e vispi al grande ballo di giugno, e con i serbatoi belli pieni per dei playoff nei quali solo una serie su tre li ha realmente messi in difficoltà.

Dall'altra parte, l'Unto del Signore assieme ad apostoli in numero inferiore a 12, e già contenti di essere arrivati all'Ultima Cena. Per carità, nessun Giuda, magari qualche San Tommaso incredulo di quello che stava capitando, ma non abbastanza per mutare il corso della storia (e con i paragoni blasfemi ci fermiamo qui, che in questi tempi per molto meno ci scatenano contro le Guardie Svizzere).

Ci ho provato ad illudervi che LeBron avrebbe trovato il sistema per infilare un granello di sabbia nel meccanismo di questa noiosissima Dinastia vincente (diamo agli Spurs l'aggettivo che meritano), ma, oltre al prevedibilissimo dottorato in post del 21 che, più in difesa che in attacco, si è messo in tasca lituani, meduse e figli di finlandesi, ci siamo anche imbattuti nel futuro marito della signora Longoria che aveva una fretta paurosa di chiudere l'ufficio per andare in licenza matrimoniale ed impegolarsi in bomboniere, fiorai, pasticceri e, ad Eva piacendo, notti magiche inseguendo non un goal ma "il triangolino che ci esalta" di Eliana memoria.

Quella zitella acida di Peter Vecsey ha scritto che Tony sarebbe andato via a Larry Hughes anche se la fascite plantare avesse parlato francese anzichè inglese, figuriamoci con Parker in salute contro un avversario azzoppato, e poi pietosamente lasciato in abiti civili nelle ultime gare.

Ginobili poi, quando richiesto, ha fatto tutto quello che serviva, mostrando a tutti chi è il reale erede di Reggie Miller (o di Pippo Inzaghi), straordinario interprete del fondamentale "il contatto lo inizio io, il fallo lo fischiano a te" che oramai li vede immuni da critiche anche dopo 3-4 replay.

Il supporting cast, a partire da Fabricio Oberto (ma davvero, tra lui e Scola, questo è quello più scarso?) per finire con Elson, Vaughn e Barry, non ha fatto danni, facendo trascorrere i minuti di riposo ai 3 tenori senza che succedesse niente di drammatico.

Discorso a parte per due curiosi soggetti: di Bowen, responsabile di ogni crimine dall'omicidio di Abele in giu nella serie con i Suns, abbiamo "apprezzato" la museruola su Lebron o su chiunque gli capitasse a tiro, e senza nefandezze eclatanti, anzi con qualche anomala escursione in attacco, quando in gara 3 ha punito pesantemente certe obbligate scelte difensive altrui.

Su Robertino Horry, mentre noi finiamo gli aggettivi, lui ha ancora 3 dita delle mani libere dagli anelli, e' diventato il più medagliato "non Celtic" della storia di questio gioco, lasciandosi dietro anche un paio di "discreti" giocatori in maglia Bulls (numero 23 e 33, se scrivo i nomi vi insulto); lui dice che vuol fare ancora un anno, Fisichella dovrebbe imparare da lui su come si sceglie un cavallo vincente da montare...

I Cavs sono comunque stati bravi, perchè sono arrivati dove tutti immaginavamo ma con un paio d'anni di anticipo. E' ben vero che il loro pifferaio è uno che fa sembrare Re Mida un portasfighe, per quanto incide sul gioco dei compagni, ma i suoi stessi amichetti hanno sfruttato bene la magnanimità del Lebron, facendosi trovare piu' (Gibson) o meno (Marshall) pronti quando serviva.Devo inoltre inginocchiarmi contrito e pentito e scusarmi con coach Brown per non aver creduto in lui, ritenendolo solo uno "yes man" alla mercè della sua superstar, ed invece ha cavato il sangue dalle rape, sfruttando anche certi "neri" nel cervello degli avversari, Detroit Sheeds in primis.

Adesso, invece di pensare alle vacanze, ci aspetta un periodo ricco di avvenimenti. In ordine temporale, dopo aver certificato Oden a Portland e Durant con l'ombrello nella città dei Boeing, ci sarà da vedere cosa combinano gli altri (ed ogni correlazione tra "combinano" ed il signor Ainge è puramente voluta). Per noi del Belpaese c'è pure la curiosità di conoscere dove sbarcherà Marco Belinelli, al quale auguro personalmente di dimenticare la disgraziata stagione appena trascorsa, e di finire in un sistema che ne esalti le caratteristiche, e con un coach che capisca pure l'italiano, cosi vi ho detto tutto!

Collegato al draft c'è il mercato, nel quale, come dire, "spiccano" le paturnie di Kobe che vuole cambiare aria, di Garnett che deve essere convinto a restare, e di varia umanità che deve decidere se e dove mettere le radici.

I due nomi di cui sopra sono belli pesanti: intuisco che Stern faccia un tifo smodato per vedere il figlio di Jellybean in pianta stabile al Madison, ma anche Chicago non sarebbe male come destinazione...

Enjoy!

P.S.: c'è un curiosissimo rumor di mercato che voleva Kevin Garnett in maglia biancoverde. Non credo ci crederò neanche al termine della prima stagione giocata al Fleet. E la cosa fantastica è che un sacco di tifosi in verde vede come il fumo negli occhi uno scambio che porterebbe a Minnie Jefferson, Green, Telfair e non ricordo cos'altro. Ho letto qualcuno scrivere: perchè privarsi di uno come Jefferson che quest'anno ha fatto 16+11 per prendere uno che più o meno ha le stesse cifre (direi "+", visto che il Bigliettone ha archiviato come pessima una stagione da 22.4 e 12.8).

Ripeto, io non credo che i Celtics abbiano l'appeal sufficente per attirare uno come Garnett, che se si muove va in un posto più appetibile. Certo è che, facendo il Fantabasket, Pierce+Garnett in buona salute (Garnett quest'anno e quello prima ha saltato gare solo per "tanking mode", in media l'unica cosa che fa meno spesso di riposarsi è perdere le palle a due), mi aumenterebbero di brutto la saliva...

Aggiornamento: Garnett ha fatto sapere che se lo mandano ai Celtics, lui la stagione successiva non rinnova, ergo Ainge lo perde in cambio di due orecchie da somaro. Come volevasi dimostrare....


Kicco

Wednesday 20 June 2007

Telenovela Bryant: Chicago ultima puntata?


Appena finite le finali NBA, torna alla ribalta il tormentone dell’estate: l’infausto destino di Kobe Bryant. Prigioniero di un contratto faraonico e di una franchigia tristemente decadente, il fuoriclasse losangelino ha ripreso a rilasciare pugnaci dichiarazioni. Dopo la smentita alla sua prima, tuonante minaccia di fine maggio "I want to be traded", apparentemente sedata dall’intervento "zen" di coach Phil Jackson, ora il buon Kobe è tornato alla carica.

"Più penso al futuro, più mi convinco che io e i Lakers abbiamo due visioni differenti. I Lakers stanno programmando un piano da qui a quattro anni, una cosa diversa da quella che il presidente mi ha prospettato quando abbiamo allungato il contratto. Oggi è uno di quei giorni surreali per me e la mia famiglia. C’è una nuova strada davanti a me. Quando tu ami qualcosa così tanto, come io amo i Lakers, è difficile pensare a un futuro da qualche altra parte, ma l'unica cosa che non sacrificherò mai, quando si parla di basket, è la vittoria. E' nel mio Dna, è quello che mi spinge a lavorare nel modo più duro possibile."

Il quadro sembra delinearsi chiaramente. I tre anni post O’Neal sono stati fallimentari per i Lakers. Solo l’anno scorso i giallo-viola hanno tenuto fede al loro blasone, dando filo da torcere ai Phoenix Suns in una serie equilibratissima, vinta da Nash e soci alla settima partita. A parte quel guizzo, mai la squadra ha dato l’impressione di poter essere competitiva. Le scelte di mercato dei dirigenti losangelini sono sempre state incomprensibili e all’insegna dell’immobilismo: caduta anche la chimera Garnett, pare proprio che Kobe voglia tornare a vincere l’anello altrove. Lo scambio sulla bocca di tutti sarebbe quello coi Chicago Bulls: il divo Kobe approderebbe sulle sponde del Lago Michigan in cambio dell’esplosivo Deng, del cecchino Gordon , forse di Wallace e di un altro paio di dettagli in quella che sarebbe la più mastodontica trade da tempo immemorabile.

Difficile dire se lo scambio andrà in porto. La sensazione è che non sia però un grande affare per entrambe le parti. I Bulls sono una squadra fortissima, che si basa fondamentalmente sul collettivo, e bisognerà vedere come vi si inserirebbe un giocatore da 40 tiri a partita come Bryant. Deng e Gordon sono però stati i due giocatori chiave dell’ascesa della franchigia sei volte campione del mondo. Bryant sarebbe affiancato dal talentuoso Hinrich, dall’esplosivo Nocioni e dal potente Tyrus Thomas. Hinrich e Nocioni, coi loro jumpers, potrebbero certamente sfruttare meglio di quanto non abbiano fatto i compagni di Kobe nei Lakers le attenzioni dedicate a Bryant: mancherebbe però qualcuno in grado di fare il classico "score on the block"; insomma, il classico Pippen della situazione, visto che nemmeno Jordan vinceva i titoli da solo. Già, MJ: il convitato di pietra. Per Kobe non sarà certo facile giocare in quello che fu il tempio del più grande di sempre, senza contare che coach Scott Skiles non avrà nei confronti delle bizzarrie da prima donna di Kobe la stessa indulgenza zen di Phil Jackson. Per altro, coi declinanti Pistons, a Est si prevede uno scontro tra Cleveland e Miami in futuro: spazio per Chicago potrebbe in fondo esserci, chissà. Per quanto riguarda i Lakers, l’addio di Bryant sarebbe un gravissimo danno di immagine. Un ideale quintetto Deng-Gordon-Odom-Wallace-Bynum non sembra poi essere in grado di eclissare le corazzate della Western Conference, senza contare che l’anno prossimo Portland tornerà grande col prodigio Oden e Seattle promette di fare altrettanto.

Insomma: i Lakers farebbero meglio a tentare di recuperare in pochi giorni tutto quello che non hanno fatto in tre anni di stagnazione.

Monday 18 June 2007

We're safe tonight


Siamo tutti salvi. Ora lo possiamo dire.
Sappiamo tutti cosa è accaduto a Mestre solo tre giorni fa. Heineken Jammin' Festival: festival interrotto a causa di una tromba d'aria che si è abbattuta sulla location e ha causato ingenti danni alle attrezzature. Alcuni ragazzi sono rimasti feriti, fortunatamente nessuno è morto. Fortunatamente.
I giornali stanno gonfiando ciò che è accaduto e lo stanno tramutando in una specie di tragedia. Fortunatamente, ripetiamo FORTUNATAMENTE, la tragedia non c'è stata. Se solo la tromba d'aria ci fosse stata solo qualche ora dopo, la tragedia ci sarebbe potuta essere. Se tutto ciò che è successo ha fatto finire diversi ragazzi in ospedale e ha reso inagibile il palco, provate a pensare a ciò che sarebbe potuto accadere se il fatto fosse successo solo qualche ora dopo...
E' lontano da noi puntare il dito contro qualcuno, ancora si hanno poche informazioni a riguardo e sono già state preposte persone che sapranno constatare e decidere se tutto questo poteva essere evitato e su chi, eventualmente, ricadrà la colpa.
Con questo comunicato vogliamo solo far riflettere tutti i Jammers (e non solo) su quanto potrebbe essere accaduto. E' inammissibile che per una tromba d'aria (che non andava a 200 Km/h come sostiene qualcuno) si sia dovuto sospendere un festival, si siano fatte tornare a casa 30.000 persone, si siano fatti muovere tanti ragazzi dal centro Italia e dal sud Italia per poi farli tornare nelle loro case, sconsolati, tristi e perplessi.
Serve a ben poco il box pubblicato ieri su 'Il Corriere della Sera' a cura di Mario Luzzato Fegiz nel quale si analizzano 'concerti andati male' in Italia negli ultimi trent'anni ad opera di alcuni deficienti che non avevano di meglio da fare che sabotare i vari shows (esempio: persone che hanno sfondato le entrate per un concerto di Renato Zero negli anni Settanta e che sono cadute da un ponticello, bilancio: un morto ed un paralizzato). Con questo articolo che cosa si voleva fare? Solo far passare questo fenomeno atmosferico come una cosa del tutto imprevedibile e non arginabile. Tale articolo si conclude cosi': "Il vero nemico del rock all'aperto resta il maltempo. Quando, come è accaduto ieri a Venezia, la gente cerca riparo proprio nei luoghi che si rivelano meno sicuri". E' incredibile come certi giornali, pare, ora facciano ricadere la colpa del fatto accaduto non solo sul tempo ma persino sul luogo dove i ragazzi si sono riparati.
INAMMISSIBILE.
Non è vero che, come riporta sempre 'Il Corriere della Sera' intervistando il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, se l'evento si fosse tenuto a Imola sarebbe successa la stessa cosa. Non servono certo scienziati per comprendere che una città come Mestre sia ben più esposta a fenomeni di questo tipo rispetto a Imola.
Con questo comunicato intendiamo spronare i ragazzi presenti a Mestre non solo a lamentarsi del fatto accaduto, dello show cancellato, ma anche a non chiudere gli occhi davanti a tutto ciò che è successo e a dimenticarselo ben presto.
Per poco si è sfiorata la tragedia. Cosa sarebbe successo se la tragedia fosse realmente accaduta?
Ci sarebbero stati morti, come prima cosa. I Pearl Jam, chissà, forse si sarebbero divisi, il rock sarebbe stato visto di nuovo come un demone, come veniva additato da tantissime persone solo pochi anni fa. Cosa si può fare? Non è facile da dire, ma con questo scritto speriamo vivamente di spronare gli addetti ad indagare sul fatto e a fare tutto il possibile per capire bene di chi è stata la colpa di tutto questo. Non si può dire 'ah, che tempo di merda', questo non si puo dire, cazzo. Per lo meno, non si può dire solamente questo.
Speriamo che questo comunicato serva a far in modo che tutte le pratiche siano svolte nel MODO PIU' ACCURATO POSSIBILE per EVITARE, in futuro, che si ripropongano fatti del genere.
Ai nostri occhi pare che si sia fatto di tutto per fare apparire questo festival visivamente 'bello'. Creando un parallelismo: è come se uno prende un veicolo per affrontare un lungo viaggio. Lo lucida, lo lava, lo rende 'bellissimo' ai suoi occhi e agli occhi delle persone che lo vedranno. Poi, quando è in strada, una gomma si buca perchè era una gomma vecchia. Non si può prestare attenzione solo all'esterno, alla bellezza esterna, atteggiamento tanto in voga in questi anni. Come prima cosa si deve rendere il veicolo il piu' sicuro possibile.
Speriamo, quindi, che tutte le indagini vengano svolte nel miglior modo possibile e che se ci saranno colpevoli vengano, giustamente, puniti. Speriamo che non ci si comporti all'italiana anche in una situazione del genere.

Wednesday 13 June 2007

L.A. Confidential: i capricci di Kobe nella telenovela chiamata Lakers


"Stars aligned in Lakers drama". Il L.A. Times, compagno inseparabile delle mie giornate (anche e, soprattutto, grazie ad internet) apriva a tutta pagina l'edizione della domenica.
Così, mentre tutto il mondo cestistico si scandalizza, sotto l'incantato cielo di L.A. la notizia viene presa con estrema filosofia e tranquillità.
Una storia già vista, che non scompone più di tanto l'angleno mentre legge il giornale nei bistrot di Venice, più interessato alla riedizione moderna de "Le mie Prigioni" scritta da Paris Hilton o ai guai gidiziari di Lindsay Lohan.
La nuova storia che si sviluppa in casa gialloviola ha tutti gli ingredienti che servono per essere la vostra telenovela preferita: le comparse non richieste, le liti, le ripicche, gli amori traditi, il perdono, il nuovo amore. E qual è il posto più bello per ambientare il tutto se non Hollywood? "The dreams start here" dice un cartello posto davanti al Beverly Hills Hotel, meta storica di attori e modelle su Sunset blv.
Ma certe volte i sogni posso anche finire, deve aver pensato forse il più importante degli attori che popolano L.A.: Kobe Bryant. Fin da quando è entrato in the L ha diviso, divide ancora e dopo questa storia dividerà ancora di più.
"Hate me or love me" proprio come cantava 2pac, l'altro re immortale della Los Angeles nera.

"Another Drama in L.A. summer" è il titolo che i giornali si sono affrettati a dare e, vi confesso, in molti han tirato un sospiro di sollievo. Colpa della nostalgia canaglia, quando Kobe e Shaq si scambiavano insulti da sotto l'ombrellone e poi vincevano regolarmente l'anello da migliori amici. Partito Shaq (c'è ancora chi, come me, fatica a vederlo in maglia Heat), le estati sono trascorse tranquille con un Kobe calato nel ruolo di buon padre, silenzioso e prodigo di consigli per i giovani compagni. Colpo di scena: le tante sconfitte, la frustrazione di vedere un progetto di ricostruzione non così rapido come doveva essere, la consapevolezza di essere una first round playoff team devono aver scatenato l'orgoglio del campione ferito.
E allora mi rimbalzano in mente le parole di John Salley (uno che, oltre a vincere tre titoli, ha avuto il privilegio di giocare sia con MJ che con Kobe) che riconduceva la differenza fra un grande e un grandissimo giocatore solo a un fatto esclusivamente mentale e non tecnico.
"Questi grandi campioni sono accompagnati" continuava " inevitabilmente, da un ego smisurato che li porta a superare tutto e tutti e soprattutto (cerco le parole per renderlo meno colorito di quanto riferitomi) hanno due grandi attributi. Kobe è esattamete questo giocatore, il migliore senza dubbio oggi come oggi nell'NBA (non voglio sentir ragioni) con una voglia di vincere famelica e feroce dentro che lo ha sempre caratterizzato".
Dunque, sigla, titolo e ....

PRIMO EPISODIO: L'AMARA ELIMINAZIONE
Fuori da Phoenix in 5 partite con l'amara sensazione di non essere stati mai all'altezza, Kobe ha pensato un paio di notti e poi si è presentato in sede. Niente saluti per le vacanze, niente cena sociale di fine anno, niente abbracci, ma riunione fiume di 5 ore con Jakcson e Kupchak dove il 24 mette le carte in tavola. Finita gara 5 era stato chiaro: "Dobbiamo fare qualcosa e quel qualcosa lo dobbiamo fare subito, questa è una città competitiva, siamo abituati a vincere titoli, non uscire al primo turno".
C'è un piccolo-enorme problema: i Lakers non possono spendere grandi soldi essendo già 3,4 milioni di dollari sopra il salary cap. Solo la mid level exception permette di muovere qualcosa anche se il rinnovo di Walton chiede attenzione. In parole povere significa solo una cosa: o trade o....trade per portare il big tanto agognato vicino a Kobe.
Kupchak, nell'occhio del ciclone come non mai, ribadiva il concetto: "Ci sentiamo tutti allo stesso modo, faremo il possibile perchè vogliamo tornare ad essere una contender già dal prossimo anno".

SECONDO EPISODIO: LA GUERRA DEI BUSS
Passa una settimana, con i nomi di Garnett e Jermaine O'Neal che rimbalzano, stessa spiaggia stesso mare, sale alle cronache (senza che se ne sentisse il bisogno) Jim Buss, figlio di Jerry, alla disperata ricerca di ritagliarsi un ruolo di rilievo nell'organizzazione (senza peraltro riuscirci). Con l'atmosfera già tranquilla di suo, pensa bene di criticare il lavoro di Jackson per questioni meramente legate all'utilizzo di Bynum, sua scelta. Pronta e piccata la risposta di Jamie Buss (la sorella) casualmente, ma anche non troppo, fidazata di coach Zen, che ridimensiona il caso riducendo tutto a un malinteso e già che è in ritmo dando dell'idiota al fratello. E qui chiudiamo, degnamente, la seconda puntata.

TERZO EPISODIO: L'OMBRA DI Mr. LOGO
Kobe Bryant, che quando vede rosso attacca, esce allo scoperto, invocando a gran voce il ritorno di Jerry West al timone delle operazioni fino al 2000 (lasciate, sembra pare e si dice, per dissapori con la dirigenza e coach Jackson). Aggiunge senza problemi: "Io credo ciecamente in Jerry, non voglio incolpare o cacciare nessuno, Mitch è un ottimo ragazzo, ma West mi conosce perfettamente e sa cosa serve per vincere". West intanto, casualmente in scadenza di contratto con Memphis e libero dal 1 luglio, si appresta a tornare nella sua casa di Bel Air.
Che Kupchak piaccia a pochi non è una novità. Anche se come GM ha vinto i totoli del 2001 e 2002, dove sostanzialmente ha raccolto i frutti di West, di lui non si ricorda una mossa di mercato degna di nota, compreso il colpo Payton-Malone giunti in gialloviola convinti dalle parole di Shaq. Che il suo contratto in scadenza il prossimo anno non venga rinnovato è cosa certa. Nel frattempo Bryant (che, ricordiamo, ha un opzione per uscire dal contratto fra due anni) assicura a tutti che sarà un Lakers a vita mettendo a tacere i primi rumors che lo volevano sul piede di partenza in caso West non fosse stato assunto.
Il set e le riprese si trasferiscono in infermeria dove da male si tende al peggio. Colpo basso: Odom e Bynum, rispettivamente primo e secondo indiziato per essere inseriti in una possibile trade, si devono operare e ne avranno fino a tardo novembre rendendo ogni cosa drammaticamente più complicata.

QUARTO EPISODIO: IL BOSS E LA MODELLA
Puntata cult: Buss Jerry, anni 74 e non sentirli, per rendere più pepata l'atmosfera e dargli quel tocco in più, si fa sorprendere dalla polizia di Carlsbad (splendido sobborgo stile olandese che bacia il Pacifico) per guida in stato di ebbrezza. Al suo fianco l'immancabile 23 enne modella di un certo spessore. La notizia non sorprende nessuno.

QUINTO EPISODIO: IL 24 FURIOSO
Il sole non fa in tempo a tramontare e le luci del Sunset Strip ad accendersi che il 24 riprende in mano il gioco. L'occasione la fornisce un intervista radiofonica a Stephen Smith di ESPN Radio dove, incalzato sull'argomento, esplode tuonando. E le sue parole fanno male, male vero. "Voglio essere ceduto, arrivare a questa conclusione è davvero dura per me, ma non ho altre alternative. I Lakers vogliono ricostruire la squadra, io però ho altri progetti, non posso aspettare ancora. Avrebbero dovuto essere più chiari quando tre anni fa firmai la mia estensione". E aggiunge rincarando: "Nella situazione in cui mi sento ora, andrei a giocare anche su Plutone".
Il malumore ha radici profonde e non figlio di uno sfogo improvviso o di un rigurgito d'orgoglio. Kobe paga, di fronte all'opinione pubblica, l'idea che la colpa della dipartita di Shaq sia sua, quando in realtà fu Buss a non volere allungare il contratto a The Diesel agevolando il suo viaggio verso Miami. Retroscena: è cosa nota fra le palme della California che Shaq chiedeva un prolungamento triennale di 80$, esattamente 15$ in più di quello che il proprietario offriva. Visto la posizione rigida delle due parti, trade inevitabile con Kupchak che commette l'errore capitale di non chiedere Wade, considerandolo un doppione dell'allora 8.

SESTO EPISODIO: LE SCUSE SU POWER 106
Dopo aver minacciato di andare su Plutone, spazio poche ore, Kobe fa ritorno sulla Terra e addolcisce le parole, complici due telefonate (Jackson e Magic) che gli fanno cambiare idea.
Il mezzo scelto per le scuse è la radio: le dichiarazioni di rito a vanno in onda sulle frequenze di KLAC, la radio ufficiale dei lacustri.
Ma la vera confessione, rivolta al popolo purple and gold e fatta con il cuore in mano, va in onda su Power 106. L.A. Power106 è La (rigorosamente maiuscola) radio hip hop della Città degli Angeli, forse la più nota d'America nel settore, il cuore nero di L.A.
Le parole rivolte a Jeff Garcia sono al miele e convinte.
"Spero che la dirigenza faccia qualcosa, perchè io non voglio andare da nessuna parte" dice "Voglio stare qui. Sono stato tifoso Lakers fin da bambino, ho iniziato la mia carriera con questa maglia e con questa voglio finire, sono un die hard lakers fan". Questo, pressapoco, il riassunto di una conversazione che ridimensiona il caso e fa rientrare l'allarme.

E' riesploso l'amore? Non del tutto o perlomeno non esattamente.
Inevitabili impazzano le discussioni sui quotidiani e i sondaggi: meglio cedere Kobe o meglio vivere con la moglie separata in casa?
Personalmente, sarà il cuore che me lo suggerisce ma anche la logica, vedo molto difficile che il 24 lasci Los Angeles o che la dirigenza si privi di lui.
Si è parlato di qualsiasi tipo di trade: a Phoenix per Marion e Diaw, o a Chicago per Deng e Gordon, o a Indiana per O'Neal e qualcun altro, ma il discorso non avrebbe alcun senso. Troppo squilibrata la contropartita in ogni caso. E i Lakers lo sanno. Al giorno d'oggi, se guardiamo il valore tecnico, Kobe è cedibile alla pari solo con LeBron o Wade, il che preclude ogni tipo d'operazione.
Jerry Buss è stato fin troppo chiaro dopo aver parlato con il suo giocatore -franchigia nel post terremoto: "Non esiste nessuno, ripeto nessuno sulla Terra che scambierei per Kobe. Punto."
E allora la soluzione è presto scritta: accontentare Kobe sempre e comunque.
Subito è circolata la notizia, diffusa ad arte per placare i bollori, che i contatti per portare Marcus Camby in gialloviola siano a buon punto in uno scambio alla pari che vedrebbe come contromerce Kwame Brown.
Primo dubbio: se è vero che Kwame costa 9 milioni ed è in scadenza quindi appetibilissimo, è anche vero che arriverebbero 26 milioni da accollarsi per i prossimi tre anni, il che chiuderebbe il mercato da qui al 2010.
Secondo dubbio: siamo sicuri che sia Camby il giocatore che cambia i destini dei Lakers, per pur bravo che sia? La risposta la sapete da soli.

Così, mentre West prepara lo scatolone di cartone con gli effetti personali per riprendere il suo posto dal 1 luglio a El Segundo, giungono notizie dal box office. Con i vecchi abbonati che hanno riconfermato per il 97% il proprio posto i biglietti allo Staples nella prossima stagione (sponda Lakers chiaramente) aumenteranno del 5%, confermando il primato nella speciale classifica fra le arene d'America.
In un giugno atipico con i Mighty Ducks, orgoglio Disney, che vincono la Stanley Cup di hockey, rubando un po' di titoli alla telenovela, scattano inevitabili i paragoni.
Con il biglietto bordo campo, dove se voglio tocco il ghiaccio, con cui vado a vedere i Ducks al Pound di Anaheim, allo Staples mi accomodo fra il primo e il secondo anello. Bello no?

Come dite? Giugno è il mese delle finali NBA con gli odiati Spurs pronti per il quarto sigillo?
Who cares.

Thursday 31 May 2007

E' triste. Ma, in fondo, lo sapevamo già.


Incontrarsi, amarsi, dirsi addio. Quattro parole che racchiudono tutto, come le quattro partite di playoff giocate con addosso un'emozione travolgente. Quattro parole che Delonte Holland ha dentro nel cuore e messo in valigia da tempo, insieme con la colonna sonora del suo anno trascorso a Varese. Un blues pieno di malinconia, da abbinare a note struggenti e lamentose. Parole tipo: "Nobody knows the trouble l've seen...", ovvero: "Nessuno sa quello che ho visto e sofferto...". Mahalia Jackson, la più grande voce del blues, con le parole tristi e cariche di rammarico pronunciate da Delonte Holland, ci avrebbe riempito il mitico Apollo Theatre. Noi, assai più modesti, ci limitiamo a girarvele alla stregua dell'impressione che ne abbiamo ricavato: una testimonianza lucida, quieta, rilasciata senza livore da parte di un ragazzo che lascia la nostra città. Probabilmente per sempre.

«Alla Pallacanestro Varese - dice Holland -, ho vissuto una stagione speciale, fantastica per certi versi, dilaniante per altri, ma sempre con un livello emotivo altissimo. La partecipazione offerta dal pubblico in garadue e garaquattro rappresenta un "qualcosa" che non potrò mai dimenticare, perché nella mia vita da giocatore non avevo mai assistito a un simile spettacolo».

Usa espressioni da giocatore in partenza. Per caso sono già delineate le prospettive sul futuro?
«No, all'orizzonte non c'è proprio nulla, tranne il fatto - spiega serenamente Delonte -, che, oggi come oggi, la Pallacanestro Varese costituisce, nell'ordine, la mia terza opzione dopo la "chance" NBA, che tenterò sicuramente in estate e, in seconda istanza, una squadra che partecipi alla prossima Eurolega perché mi piacerebbe misurarmi con il livello "top" del basket europeo. A Varese sono stato divinamente, e credo d'essere cresciuto sia come giocatore, sia in termini di comprensione del gioco. Ma la pallacanestro è la mia vita ed io sono ambizioso. Così è naturale che io voglia "vedere" come possa comportarmi tra i migliori».

A giochi conclusi, qual è il suo bilancio?
«L'annata è stata un ottovolante di emozioni, fatto di risultati importanti, cadute impreviste e sconfitte maturate in circostanze incredibili. Tuttavia, vorrei ricordare a tutti i tifosi che la squadra ha mostrato sempre grande solidità e, a dispetto di qualche disavventura, è stata brava a rimanere costantemente in zona playoff. In buona sostanza il bilancio è soddisfacente visto che abbiamo centrato i due obiettivi stagionali: la Final 8 di Coppa Italia e i playoff, e abbiamo disputato un finale di stagione in crescendo ma...».

Ma?
«Ma se mi chiedete un parere complessivo non posso dire di essere contento. Non sono soddisfatto, il sapore amaro di certe sconfitte mi fa ancora compagnia. Perché - continua l'ala di Greenbelt -, con qualche punto in più avremmo potuto affrontare i playoff in una posizione migliore vista la nostra mentalità vincente. Già buona ma, evidentemente, non all'altezza delle nostre avversarie».

Quali sono stati momenti "più" e "meno" della stagione?
«Identifico il "più" nella vittoria casalinga contro Scafati, quella che ci ha fatto girare il senso della stagione. In quel momento la squadra, sul rischio di sprofondare, ha evidenziato una reazione da grande gruppo e messo in mostra una fortissima voglia di vincere. Il "meno" e certamente legato alle quattro sconfitte consecutive subite nel girone di ritorno e, in particolare, alla gara giocata senza cuore, senza testa, senza mentalità che abbiamo disputato a Livorno».

Quali, a questo punto, i voti per la squadra e per Holland?
«La squadra, proprio per quello che dicevo prima, mi è piaciuta e dal mio punto di vista merita un voto altissimo: 9, anzi, 9 e mezzo. Per me, invece, il giudizio definitivo non va oltre il 7 perché, al pari della squadra, ho accusato diversi alti e bassi. Un aspetto del mio modo di stare in campo che non sopporto e devo assolutamente migliorare».

Cosa ha apprezzato di più del suo periodo trascorso a Varese e cosa l'ha maggiormente infastidita?
«Apprezzamento assoluto e gratitudine vanno all'intero staff societario ed è stato bello conoscere e veder lavorare un gruppo di eccellenti professionisti e non voglio fare nomi perché rischierei di dimenticare qualcuno. Fastidi invece no, nessuno».

A ogni modo, se parliamo di problematiche, bisogna ricordare che la sua annata è stata caratterizzata dall'episodio dicembrino con coach Magnano...
«A questo proposito vorrei essere chiaro e ribadire una volta per tutte che con coach Magnano non ci sono stati mai problemi personali. Ma, fatta questa premessa, nemmeno posso sorvolare sul fatto che, sotto il profilo squisitamente tattico, Magnano ed io apparteniamo a mondi cestistici distanti e, soprattutto, nettamente contrastanti tra loro. In termini di pallacanestro giocata abbiamo idee troppo diverse e, personalmente, ritengo che il sistema di gioco adottato da coach Ruben mi abbia impedito di rendere al meglio o, quanto meno di sviluppare al massimo potenziale le mio qualità o caratteristiche tecniche. Un lavoro che, invece, dovrebbe essere quello principale per chiunque voglia allenare al livello dei "Pro". Io, al contrario, in tante occasioni mi sono sentito come se avessi avuto le catene ai piedi, limitato anche nelle situazioni più semplici. Una sensazione che, vi giuro, fatico a descrivere a parole e spesso mi ha fatto stare male, facendomi domandare cosa avrei dovuto fare per migliorare e rispondere alle richieste del tecnico. Capita l'antifona mi sono piegato, come tutti, agli ordini del coach, ma arrivare alla fine dell'anno è stato difficile, complicato, faticoso, e l'esperienza alle dipendenze di Magnano è stata in buona parte da cancellare. E, se possibile - conclude Delonte -, da non ripetere».

Tuesday 15 May 2007

Playoff


L'ultima volta che la Pallacanestro Varese ha partecipato ai playoff era il 2004. Allora si chiamava Metis, la allenava Giulio Cadeo e fu l'anno delle clamorose nove vittorie consecutive, vanificate poi dal classico coccolone di marzo, che ci costrinse a faticare più del dovuto per raggiungere la post season.
Era quella la Varese di Jerry McCullough, playmaker pescato da Cantù, sedici punti a partita e un campionato tutto sommato niente male; i suoi compagni si chiamavano Meneghin e De Pol, Melvin Sanders e Dragan Ceranic, Farabello e Vescovi. E Tyrone Nesby, che si presentò a Masnago con 32 punti e una serie di pazzeschi numeri da circo, prima di calare pietosamente, litigare con tutto e tutti e venire cacciato in febbraio per incompatibilità con il resto della squadra e la società intera.
Dopo l'esperimento delle dodici squadre ai playoff gli anni precedenti, quella stagione si tornò alle tradizionali otto; la Metis, nonostante la sconfitta di Pesaro dell'ultima giornata, riuscì a salire sull'ultima carrozza disponibile. E incrociò Siena, quella Siena che proprio quell'anno sarebbe dovuta arrivare al coronamento di un progetto a lungo termine che prevedeva lo scudetto in tre anni. Solo dodici mesi prima la Mens Sana era giunta alle Final Four di Eurolega, fatta fuori in semifinale dalla Benetton di quel Tyus Edney giustiziere dell'Inferno Giallo del Maccabi con un tiro senza senso da metà campo che si era infilato sulla sirena.
Varese aveva battuto Siena al PalaIgnis, durante la stagione regolare, con una prestazione eroica della bandiera Cecco Vescovi; ma con il clima caldo dei playoff le cose sarebbero andate in un altro modo. Battere Stefanov, Thornton, Vanterpool, Andersen, Zukauskas, Chiacig e compagnia in una serie al meglio delle cinque partite sarebbe stata una leggera utopia per una squadra che dal trionfo del 1999 aveva perso se stessa in maniera pressochè irrimediabile, oltre a perdere Pozzecco, l'anima di tutta Varese, attirato - ahimè - dalle sirene dell'odiata Fortitudo. Fu zero a tre, anche se demmo battaglia in ogni singola partita, e alla fin fine ne uscimmo a testa più che alta.
Il Montepaschi, dicevamo, andò fino in fondo, con una convinzione di invincibilità che solo un carro armato contro un pugno di uomini a mani nude può avere: distrusse Pesaro in semifinale (e che Pesaro era quella, con il compianto Alphonso Ford, Djordjevic, Elliott, Milic, Scarone e Eley) e andò a conquistare il primo tricolore della sua storia con un ultimo atto ancora privo di sconfitte: a farne le spese fu la Skipper Bologna. Sulla panchina senese, manco a farlo apposta, Charlie Recalcati, l'uomo della stella varesina, l'uomo che ci lasciò - anche lui - per accasarsi sotto le due Torri, dove guardacaso trionfò al primo anno.
Varese, già in crisi di risultati da cinque anni, provò a risollevarsi, ma si accorse ben presto che comprare giocatori quasi a caso e metterli insieme sul parquet non poteva equivalere a rinverdire i gloriosi fasti della società. Nel settembre 2004 si presentarono a Masnago Sani Becirovic, l'uomo che in pratica aveva portato al fallimento delle V Nere bolognesi, straordinario play sloveno ma fermo a lungo per un male inspiegabile alle gambe; Norman Nolan, rocciosa ala-centro americana; Cal Bowdler, centro inguardabile e preso chissà dove; e Alain Digbeu, francese. L'inizio fu promettente, Becirovic e Nolan formarono una coppia devastante che sembrava poter superare qualsiasi ostacolo, Digbeu si rivelò, oltre che fromboliere, un difensore eccezionale. Durò poco: Sani Boy si consumò in fretta, non reggendo più a certi ritmi dopo due anni di inattività, e a fine stagione ci tradì per - e tre - la Climamio; la squadra si ruppe come un giocattolo, perse delle partite che non si potevano perdere, e chiuse mestamente eliminata dai playoff.
Nè andò meglio l'anno successivo, ovvero l'anno scorso: De Juan Collins resse un solo girone, Garnett fu l'ombra della meraviglia ammirata a Treviso, Albano non aveva certo il talento per trascinare la squadra. E così, nonostante il grande cuore di Hafnar e Howell (grande cuore ma, nel caso di Rolando, totale assenza di fondamentali) e nonostante una più che buona andata, fatta di dieci vittorie, la post season rimase un miraggio, frutto di sconfitte da prendersi a pugni per la rabbia perchè giunte al termine di prestazioni degne del Fantazoo, quello di Alvaruccio.
Questa stagione è stata sofferta, soffertissima. Holland è un campione, non si discute, ma a volte ha delle pause sconcertanti e gioca da solo; Carter ha alternato serate da indemoniato a partite scialbe e inutili; Galanda, graditissimo ritorno, è parso essere il Jack del tricolore, ma gli anni pesano e si è visto in certi frangenti; Keys e Capin sono stati brillanti in regia, soprattutto lo sloveno, grinta da vendere e talento allo stato puro, ma hanno accusato stanchezza fisica nel finale. Tuttavia, stavolta il buon avvio non è stato del tutto vanificato, anche se quattro sconfitte in serie con l'arrivo della primavera (un difetto congenito) ci avevano escluso dalle prime otto; un'impennata d'orgoglio, esploso del tutto nel vittorioso derby contro Cantù (uno spettacolo il PalaWhirlpool quel sabato) ci ha riportato, tre anni dopo, in post season. Non fosse stato per un furto arbitrale all'ultimo minuto dell'ultima partita a Casalecchio (antisportivo inesistente fischiato a Keys), ci sarebbe toccata Roma; invece, anche a causa di una scontata vittoria di Biella ad Avellino, Varese ha chiuso al settimo posto, e andrà quindi a sfidare, nei quarti di finale, l'Armani Jeans Milano, in un confronto storico e sulla carta senza troppe speranze. Però, staremo a vedere. E a tifare, soprattutto.
Comunque, tutta questa storia sui playoff era per dire che l'ultima volta che li giocammo, nel maggio 2004, accaddero certe cose del tutto esterne al palazzetto, avvenimenti che adesso sarebbe troppo lungo spiegare e dettagliare. Dirò solo che in quel mese ci furono due fatti che avrebbero segnato indelebilmente la storia. E se uno è stato appena raccontato in questo post, l'altro, per dirla con Ingra, rimane comunque un altro problema.

Friday 11 May 2007

11 maggio 1999


Oggi gli anniversari riguardano il basket: l'undici maggio di otto anni fa, tanto, troppo tempo, i Roosters Varese vincevano lo scudetto. La città, quella notte, si incendiò e scoppiò in una notte lunga quanto i ventuno anni di attesa tra un titolo e l'altro. C'era gente in cima agli alberi, tifosi che si inerpicavano sulle cabine telefoniche, caroselli tipo sfilata in vacanzina estiva. Un pazzo aveva montato un letto con tanto di coperte sul tetto di una macchina, ci si era infilato dentro e si faceva portare in giro dagli amici con un cartello appeso che diceva "Non svegliatemi, sto sognando". Io mi ero lanciato nella fontana di piazza Montegrappa con un compagno di classe, mentre i tabelloni luminosi alle fermate dei pullman recitavano "Forza Roosters, tutta Varese è con te!"; due ragazze, coinvolte in un frontale a pochi minuti dall'esplosione di un popolo impazzito, avevano esultato, in lacrime dalla gioia, sull'ambulanza che le aveva soccorse, ed immancabile era giunto il commento del vecchio di passaggio: "L'è stai pusee ul stremizi ch'ul rest", riassumendo in un semplicissimo e splendido concetto dal sapore rustico e dialettale la partita decisiva, con Treviso avanti nei primi sette-otto minuti, Treviso che per un attimo ci aveva quasi messo paura, e poi era stata inesorabilmente sommersa dalla marea di una squadra che quella sera non avrebbe mai potuto perdere, perchè aveva dentro una forza che era la forza di scrivere la storia, dopo aver iniziato la stagione ben sapendo che le due bolognesi e la stessa Benetton erano comunque di un altro livello. E invece il tricolore lo portammo a casa noi, e penso che, otto anni dopo, quella notte rimanga la cosa più bella e inaspettata che sia mai capitata nella mia giovane vita, ma solo chi tifa davvero può capirlo.

Monday 7 May 2007

Analisi di una stagione

Fantastico report su un campionato andato in archivio con la consueta coda di polemiche garbate e non, che danno sale e pepe alla Lega più pazza del mondo.
Mi sento di aggiungermi al coro delle analisi e ben volentieri raccolgo l'invito di Damiano a portare riscontri a quanto da lui scritto.

FULL METAL JACKET: alla vigilia era dato come il più forte per il clamoroso attacco che aveva costruito. Toni, Ibra, Bianchi, Suazo, senza dimenticarci di Riganò: una corazzata, anche se Bianchi a 17 gol non l'avrebbe dato nessuno, nemmeno io che di scommesse del genere ne ho vinte per ora tre su tre, di cui pagate zero (vero Mitch, ti ricordi di Flachi no?). Il centrocampo lasciava a desiderare, in difesa il solito nugolo di carneadi pareva garantire la sufficiente solidità e qualche golletto (che infatti è arrivato), ma poco di più: cosa ci si poteva aspettare da Mandelli (fedelissimo di Za), Zenoni e Bonera? Ci ha messo un po' a venire fuori, è emerso dalla crisi più che altro per la crisi di altre squadre e poi è andato a dominare con un'impressionante sequenza di 1-0 maturati per questione di mezzo punto. Vince un torneo equilibratissimo concedendosi il lusso di battere la diretta rivale all'ultima giornata, a conti già fatti. Ma la giusta dose di culo è scritta in un particolare: da quando ha preso Di Natale, il nanerottolo dell'Udinese ha iniziato a segnare come un disperato; Suazo, svenduto al dottor Damiano, ha perso tutto il suo smalto. Comunque vittoria meritata, ma solo dalla cintola in su. La sua stagione prosegue alla ricerca dello storico double, riuscito solo a Varese United (allora All Blacks) nel 2004-2005.

FUTEBOL BAILADO: entrerà nella storia per essere l'uomo che ha vinto più ricorsi. Incredibile la sua ira e la sua assoluta inflessibilità nel punire ogni secondo di ritardo, ogni episodio sospetto che l'ha danneggiato; i più (io compreso, anche se un suo reclamo accolto mi ha tolto il terzo posto) lo osannano per non lasciare spazio al dubbio e alla creazione del precedente. Rosa ampia, portata alla piazza d'onore da un centrocampo spessissimo schierato a cinque, con un Corini strepitoso da settembre a dicembre, un Figo brillante, un Volpi sempre pulito e regolare. Avesse avuto un Adriano mediamente normale e un Inzaghi più utilizzato avrebbe forse vinto; non tralasciamo la panchina poi, con Amoruso spesso in gol ma poco utilizzato, Bjelanovic a sprazzi, Pozzi uscito nel finale. Gran campionato il suo.

KUVRICA: perde l'ultima gara, ma il giudice sportivo ha già bloccato Championship Vinyl, la presunta sfiga ha tartassato ancora Varese United e il terzo posto è finalmente suo. Quiqui è il presidente più fastidioso della Lega: schiera giocatori irritanti che si chiamano Migliaccio, Portanova e Modesto e che puntualmente ti bucano con gol di stinco, rilascia dichiarazioni di un'ora in cui spiega perchè Bresciano in campo e Semioli in panchina, ha personalissime teorie sui voti dei giornalisti. E ogni anno, regolarmente, è sempre lì che ti rompe i coglioni in classifica. Onore al suo bronzo, conquistato grazie a un ottimo Rocchi, alla sorpresa Quagliarella e ai puntuali Di Michele e Pellissier. Matteini doveva essere una rivelazione e invece ha fatto quasi sgommare, Rosina ha spesso tirato la volata a un centrocampo che ha perso a lungo Cambiasso e non ha saputo offrire valide alternative al decesso di Bresciano, che da gennaio in poi è parso un fantasma più che un esterno. Si giocherà anche la Coppa: in bocca al lupo.

CHAMPIONSHIP VINYL: il suo centrocampo ha prodotto 34 gol, contando solo chi ha effettivamente schierato nelle 35 domeniche: un record. Inaspettate le 13 reti di Doni, ma è una scommessa stravinta, così come le 6 segnature di Daniele Franceschini sono un inno al coraggio ma anche alla eccessiva buona sorte. E poi Seedorf, Gasbarroni, Obodo. Non aggiungo nulla a quanto scritto da Damiano, solo due cose: la tragedia dell'attacco, solo 19 gol e la derisione di tutti per Abbruscato (ma grande Crespo) e gli infortuni da non sottovalutare: Vieira fuori tre mesi, Aquilani fuori quattro mesi quando stava giocando alla grande (ricordate la rabona a San Siro?), Obodo fuori un mese, Crespo fuori due volte per tre settimane. L'anno scorso aveva una corazzata che sopperì agli infortuni di Vieira stesso e di Bonazzoli, quest'anno no. Ecco spiegato il crollo verticale, da primo a quarto in due gironi. Oltre a certe scelte scriteriate: 50 milioni per un Paolucci da zero gol ha fatto gridare all'interrogazione parlamentare. Intanto gli altri si compravano Ronaldo e Giuseppe Rossi.

VARESE UNITED: a sentire lui, avrebbe dovuto vincere con venti punti sulla seconda. Si ritrova quarto, incazzato nero e non supportato dalle statistiche che invece lo vorrebbero dominatore incontrastato. Che abbia avuto più sfortuna di altri è sacrosanto, che avesse la rosa più forte è una falsità degna di chi affermò, nel lontano 2001, che Quiqui avesse bestemmiato in CP: Doni ottimo ma Frey nel rapporto voti-gol subiti gli è stato superiore; la difesa non ha segnato praticamente mai (un gol Felipe, forse due Jankulovksi); il centrocampo ha prodotto tantissimo all'inizio, meno alla fine (Stankovic e Taddei hanno segnato cinque gol a testa fino a gennaio, poi più nulla, e Pirlo ha deluso leggermente); l'attacco è stato oggettivamente atomico, ma da solo non poteva bastare. Certo, Za ha vinto con una squadra dal rendimento simile e più debole sulla carta, ma il Fantacalcio non si vince sulla carta, nè con il rendimento in chiave ASSOLUTA dei singoli: si vince sulla regolarità, e Za è stato più regolare, oltre che più fortunato. Ad ogni modo, Mitch chiude a meno quattordici: un po' troppo, per parlare esclusivamente di sfortuna.

CURRAHEE: Ceca è l'eterno incompiuto della Lega. L'anno scorso fu terzo, ma intorno il deserto. Mai un acuto, mai un risultato finale degno di una campagna acquisti sempre oculata, saggia, competititiva. Ancora una volta ha schierato il capocannoniere del campionato (aveva Toni lo scorso anno), ancora una volta termina quasi sul fondo, danneggiato dalla positività di Flachi e da scelte poco consone a un tattico esperto e conoscitore del mondo del pallone quale lui è. Lasciare fuori Budan per Zampagna (avvenuto spesso) si è rivelato fatale, credere nell'intoccabilità di Masiello è da urlo di Munch, puntare su D'Anna e Negro in carrozzina ci ha lasciati perplessi, i portieri sono stati imbarazzanti. E' però in semifinale di Coppa, competizione che invece lo ha sempre visto protagonista: la squadra è in calo (leggasi Pandev su tutti), ma lotterà fino alla fine.

COGADH!!!: era l'eterno secondo. Cinque volte con la medaglia d'argento al collo, una con quella di bronzo. Piazzato per eccellenza, sfigato per eccellenza, quest'anno lo è stato più degli altri anni ed è finito settimo. Peccato, ma siamo sicuri che dentro di lui gioisce per aver finalmente evitato di salire sul podio a guardare gli altri che festeggiano. C'era da aspettarsi un tracollo del genere: Rivalta Loria Aronica, con Falcone e Cioffi pronti a subentrare, non offrivano tutta questa garanzia di impermeabilità. Aggiungiamoci che Di Natale con lui l'ha messa col contagocce, che chi doveva guidare il gioco (Morfeo) ha spesso guidato solo la domenica per le strade di Parma perchè il campo non l'ha quasi mai visto, che puntava sulla grande stagione di Ariatti e Bombardini (peccato, di gran valore), e il gioco è concluso. Anzi no: Gilardino non ha segnato quanto il presidente sperava ed è spesso stato incolore ed evanescente. Il buon dottore ha provato a riscattarsi con l'acquisto di Ronaldo, ma non è bastato nemmeno un Fenomeno in grande spolvero a ritirarlo su. Sarà per l'anno prossimo. Forse.

HEARTATTACK: cuore rossonero non si smentisce. All'asta, non potendo più sparare i suoi 120 milioni per Shevchenko (lo rifarà a settembre?...), Biglio ha speso metà del capitale per acquistare in blocco Kakà e Oliveira. Com'è finita? Ricardino (il primo dei due) è stato ben più ispirato e mortifero in Champions, Ricardinho (il secondo) in questo momento sta scrivendo una lettera di scuse a tutto il popolo milanista, mentre il sottoscritto andrà ad incassare una birra (si spera). Stavolta il gigantesco Mutu (16 a referto per il rumeno) non è servito ad evitare l'ultimo posto, nè sono serviti a granchè il gladiatore Mexès, il talentuoso ma inconcludente Montolivo, il regista Liverani, l'utilissimo Foggia, che però ha iniziato a stupire tutti da marzo in poi. All'inizio ha retto grazie ad un grande Palermo. Poi si è rotto Amauri e la sua stagione è finita lì. Probabilmente il terzo brasiliano dei (presunti) sogni sarebbe arrivato a 16-17 gol, e invece si è fermato a otto nel mese di dicembre. E poi Bonazzoli quest'anno è stato abulico (come sempre del resto, tranne l'anno scorso, quando però si ruppe a novembre e rimase fuori fino a giugno), e di alternative serie e concrete non ce n'erano; Rossi è arrivato solo a gennaio e di gol non ne ha fatti poi così tanti. Complimenti comunque per aver azzeccato Maicon.

Insomma signori: aspettiamo tutti con gran fervore il 2007-2008. Ci sarà il ritorno della Juve (incrociamo le dita ancora per cinque domeniche, speriamo meno), forse ci si scannerà per grandi nomi quali Ronaldinho, Eto'o, Villa, Lampard, Deco, si cercheranno le sorprese che spostano gli equilibri. Una cosa è certa: il Fantacalcio non morirà mai, nemmeno con Calciopoli 2, 3, 4 e 5.