Friday 29 June 2007

NBA Draft 2007


Stanotte, al Madison Square Garden di New York, si è tenuto il tanto atteso draft NBA. Atteso per due motivi: primo, per l'enorme potenziale che quest'anno approda tra i professionisti; secondo, per fare chiarezza e dare un minimo di concretezza alle possibili trade paventate nei giorni scorsi, Bryant e Garnett su tutti.

Per inciso, i due big per ora non si sono mossi da Los Angeles e Minnesota: troppo complesse le trattative per chiuderle in una sola notte.

Parlando di draft, nessuna sorpresa ai primi due pick: Greg Oden e Kevin Durant si accasano a Portland e Seattle, come da amplissime previsioni. Piuttosto, i Trail Blazers concretizzano una trade che, a parer mio, dà ancora più peso ad una franchigia che può seriamente tornare a grandi livelli: nell'Oregon sbarcano Steve Francis e Channing Frye (fino a pochi giorni fa ritenuto incedibile dall'entourage di New York); la Grande Mela accoglie Zach Randolph, Fred Jones e Dan Dickau, in un ennesimo smantellamento del roster alla disperata ricerca di risalita dal baratro.

Altro scambio importante è quello messo in piedi da Boston: i Celtics acquisiscono Ray "He got game" Allen da Seattle, che decide così di puntare tutto su Durant, e gira alla Emerald City Delonte West, Wally Sczerbiack (che il suo prime l'ha avuto ai tempi in cui affiancava Garnett ai TWolves) e la quinta scelta del draft, ovvero Jeff Green, scelto dai Sonics pochi minuti dopo l'affare. I tifosi dei Celtics, almeno a guardare i vari blog e forum, non sembrano averla presa troppo bene: ai biancoverdi serve più che altro un lungo, e invece è arrivata una point guard di 32 anni, pur dotata del miglior tiro da fuori di tutta la Lega.

Segue l'elenco dei primi due giri di chiamate, non prima di aver ricordato che Marco Belinelli è stato scelto con il numero 18 dai Golden State Warriors (erano la sua seconda preferenza) e, un po' per il gioco voluto da Nelson, un po' per la cessione di Jason Richardson a Charlotte, può avere molto spazio. I miei Lakers invece hanno puntato, oltre che sul cinese Sun Yue e su Marc Gasol, fratello di Pau, al secondo giro, sul playmaker di Georgia Tech Javaris Crittenton, 14.4 punti e 5.3 assist con gli Yellow Jackets, a lungo dato, nei mock predraft, in una posizione tra la 11 e la 14.

Sarò scettico e ormai deluso, ma prendere un play, per di più ancora acerbo, nel ruolo in cuisi è deciso di puntare su Farmar... non sarà, come sostiene qualcuno, che Kupchack e soci abbiano capito che Bryant non si può più trattenere e stiano cercando di impostare i prossimi anni sulle Lottery per rifondare da zero?

(un po' come fece Chicago agli inizi del 2000, per intenderci, obiettivo piuttosto riuscito).

Tra qualche giorno scopriremo la prima parte dell'enigma...

ROUND ONE

1. Portland Trail Blazers
Greg Oden, Center, Ohio State

2. Seattle SuperSonics
Kevin Durant, Forward, Texas

3. Atlanta Hawks
Al Horford, Forward/Center, Florida

4. Memphis Grizzlies
Mike Conley Jr., Guard, Ohio State

5. Boston Celtics
Jeff Green, Forward, Georgetown (to Seattle)

6. Milwaukee Bucks
Yi Jianlian, Forward, China

7. Minnesota Timberwolves
Corey Brewer, Forward, Florida

8. Charlotte Bobcats
Brandan Wright, Forward, North Carolina (to Golden State)

9. Chicago (from New York)
Joakim Noah, Forward/Center, Florida
10. Sacramento Kings
Spencer Hawes, Center, Washington

11. Atlanta Hawks (from Indiana)
Acie Law IV, Guard, Texas A&M

12. Philadelphia 76ers
Thaddeus Young, Forward, Georgia Tech

13. New Orleans Hornets
Julian Wright, Forward, Kansas

14. Los Angeles Clippers
Al Thornton, Forward, Florida State

15. Detroit Pistons (from Orlando)
Rodney Stuckey, Guard, Eastern Washington

16. Washington Wizards
Nick Young, Guard/Forward, Southern California

17. New Jersey Nets
Sean Williams, Forward/Center, Boston College

18. Golden State Warriors
Marco Belinelli, Guard, Italy

19. Los Angeles Lakers
Javaris Crittenton, Guard, Georgia Tech

20. Miami Heat
Jason Smith, Forward/Center, Colorado State (to Philadelphia)

21. Philadelphia 76ers (from Denver)
Daequan Cook, Guard, Ohio State (to Miami)

22. Charlotte Bobcats (from Toronto)
Jared Dudley, Forward, Boston College

23. New York Knicks (from Chicago)
Wilson Chandler, Forward, DePaul

24. Phoenix Suns (from Cleveland)
Rudy Fernandez, Guard, Spain (to Portland)

25. Utah Jazz
Morris Almond, Guard, Rice

26. Houston Rockets
Aaron Brooks, Guard, Oregon

27. Detroit Pistons
Arron Afflalo, Guard, UCLA

28. San Antonio Spurs
Tiago Splitter, Forward, Brazil

29. Phoenix Suns
Alando Tucker, Forward, Wisconsin

30. Philadelphia 76ers (from Dallas)
Petteri Koponen, Guard, Finland (to Portland)

ROUND TWO

31. Seattle SuperSonics (from Memphis)
Carl Landry, Forward, Purdue

32. Boston Celtics
Gabe Pruitt, Guard, Southern California

33. San Antonio Spurs (from Milwaukee)
Marcus Williams, Forward, Arizona

34. Dallas Mavericks (from Atlanta)
Nick Fazekas, Forward, Nevada

35. Seattle Supersonics
Glen Davis, Forward, Louisiana State (to Boston)

36. Golden State Warriors (from Minnesota)
Jermareo Davidson, Forward, Alabama (to Charlotte)

37. Portland Trail Blazers
Josh McRoberts, Forward, Duke

38. Philadelphia 76ers (from New York)
Kyrylo Fesenko, Center, Ukraine (to Utah)

39. Miami Heat (from Sacramento)
Stanko Barac, Center, Bosnia (to Indiana)

40. Los Angeles Lakers (from Charlotte)
Sun Yue, Guard, China

41. Minnesota Timberwolves (from Philadelphia)
Chris Richard, Forward, Florida

42. Portland Trail Blazers (from Indiana)
Derrick Byars, Guard/Forward, Vanderbilt (to Philadelphia)

43. New Orleans Hornets
Adam Haluska, Guard, Iowa

44. Orlando Magic
Reyshawn Terry, Forward, North Carolina (to Dallas)

45. Los Angeles Clippers
Jared Jordan, Guard, Marist

46. Golden State Warriors (from New Jersey)
Stephane Lasme, Forward, Massachusetts

47. Washington Wizards
Dominic McGuire, Forward, Fresno State

48. Los Angeles Lakers
Marc Gasol, Center, Spain

49. Chicago Bulls (from Golden State)
Aaron Gray, Center, Pittsburgh

50. Dallas Mavericks (from Miami)
Renaldas Seibutis, Guard, Lithuania

51. Chicago Bulls (from Denver)
Jameson Curry, Guard, Oklahoma State

52. Portland Trail Blazers (from Toronto)
Taurean Green, Guard, Florida

53. Portland Trail Blazers (from Chicago)
Demetris Nichols, Forward, Syracuse (to New York)

54. Houston Rockets (from Cleveland)
Brad Newley, Guard, Australia

55. Utah Jazz
Herbert Hill, Forward/Center, Providence (to Philadelphia)

56. Milwaukee Bucks (from Houston)
Ramon Sessions, Guard, Nevada

57. Detroit Pistons
Sammy Mejia, Guard, DePaul

58. San Antonio Spurs
Giorgos Printezis, Forward, Greece (to Toronto)

59. Phoenix Suns
D.J. Strawberry, Guard, Maryland

60. Dallas Mavericks
Milovan Rakovic, Forward, Serbia (to Orlando)

Wednesday 27 June 2007

La Finale che non è stata


Per qualche giorno ho riflettuto sul titolo da dare alle 4 righe con le quali chiudere l'immaginario volume di questi playoff. "La Finale che non è piaciuta a nessuno", soprattutto in riferimento all'indice d'ascolto americano, che avra' fatto dormire poco e male il nostro avvocato con gli occhiali; la cosa però mi avrebbe attirato le "simpatie" di tutto quel popolo Spurs che anni di titoli e trio delle meraviglie hanno contribuito a creare.

Ho quindi ripiegato su quello che, a mio modesto avviso, poteva essere e non è stato. Stavolta non abbiamo avuto a che fare con il suicidio, emotivo prima che tecnico, di una Dallas 2006, fortissima ma disabituata a queste altitudini, capace poi di tirare nel water un titolo vinto per 3 quarti, finito invece come tutti ricordiamo.

Stavolta avevamo una squadra perennemente abituata alle finali, e perennemente abituata a vincerle, con i tre uomini chiave arrivati sani e vispi al grande ballo di giugno, e con i serbatoi belli pieni per dei playoff nei quali solo una serie su tre li ha realmente messi in difficoltà.

Dall'altra parte, l'Unto del Signore assieme ad apostoli in numero inferiore a 12, e già contenti di essere arrivati all'Ultima Cena. Per carità, nessun Giuda, magari qualche San Tommaso incredulo di quello che stava capitando, ma non abbastanza per mutare il corso della storia (e con i paragoni blasfemi ci fermiamo qui, che in questi tempi per molto meno ci scatenano contro le Guardie Svizzere).

Ci ho provato ad illudervi che LeBron avrebbe trovato il sistema per infilare un granello di sabbia nel meccanismo di questa noiosissima Dinastia vincente (diamo agli Spurs l'aggettivo che meritano), ma, oltre al prevedibilissimo dottorato in post del 21 che, più in difesa che in attacco, si è messo in tasca lituani, meduse e figli di finlandesi, ci siamo anche imbattuti nel futuro marito della signora Longoria che aveva una fretta paurosa di chiudere l'ufficio per andare in licenza matrimoniale ed impegolarsi in bomboniere, fiorai, pasticceri e, ad Eva piacendo, notti magiche inseguendo non un goal ma "il triangolino che ci esalta" di Eliana memoria.

Quella zitella acida di Peter Vecsey ha scritto che Tony sarebbe andato via a Larry Hughes anche se la fascite plantare avesse parlato francese anzichè inglese, figuriamoci con Parker in salute contro un avversario azzoppato, e poi pietosamente lasciato in abiti civili nelle ultime gare.

Ginobili poi, quando richiesto, ha fatto tutto quello che serviva, mostrando a tutti chi è il reale erede di Reggie Miller (o di Pippo Inzaghi), straordinario interprete del fondamentale "il contatto lo inizio io, il fallo lo fischiano a te" che oramai li vede immuni da critiche anche dopo 3-4 replay.

Il supporting cast, a partire da Fabricio Oberto (ma davvero, tra lui e Scola, questo è quello più scarso?) per finire con Elson, Vaughn e Barry, non ha fatto danni, facendo trascorrere i minuti di riposo ai 3 tenori senza che succedesse niente di drammatico.

Discorso a parte per due curiosi soggetti: di Bowen, responsabile di ogni crimine dall'omicidio di Abele in giu nella serie con i Suns, abbiamo "apprezzato" la museruola su Lebron o su chiunque gli capitasse a tiro, e senza nefandezze eclatanti, anzi con qualche anomala escursione in attacco, quando in gara 3 ha punito pesantemente certe obbligate scelte difensive altrui.

Su Robertino Horry, mentre noi finiamo gli aggettivi, lui ha ancora 3 dita delle mani libere dagli anelli, e' diventato il più medagliato "non Celtic" della storia di questio gioco, lasciandosi dietro anche un paio di "discreti" giocatori in maglia Bulls (numero 23 e 33, se scrivo i nomi vi insulto); lui dice che vuol fare ancora un anno, Fisichella dovrebbe imparare da lui su come si sceglie un cavallo vincente da montare...

I Cavs sono comunque stati bravi, perchè sono arrivati dove tutti immaginavamo ma con un paio d'anni di anticipo. E' ben vero che il loro pifferaio è uno che fa sembrare Re Mida un portasfighe, per quanto incide sul gioco dei compagni, ma i suoi stessi amichetti hanno sfruttato bene la magnanimità del Lebron, facendosi trovare piu' (Gibson) o meno (Marshall) pronti quando serviva.Devo inoltre inginocchiarmi contrito e pentito e scusarmi con coach Brown per non aver creduto in lui, ritenendolo solo uno "yes man" alla mercè della sua superstar, ed invece ha cavato il sangue dalle rape, sfruttando anche certi "neri" nel cervello degli avversari, Detroit Sheeds in primis.

Adesso, invece di pensare alle vacanze, ci aspetta un periodo ricco di avvenimenti. In ordine temporale, dopo aver certificato Oden a Portland e Durant con l'ombrello nella città dei Boeing, ci sarà da vedere cosa combinano gli altri (ed ogni correlazione tra "combinano" ed il signor Ainge è puramente voluta). Per noi del Belpaese c'è pure la curiosità di conoscere dove sbarcherà Marco Belinelli, al quale auguro personalmente di dimenticare la disgraziata stagione appena trascorsa, e di finire in un sistema che ne esalti le caratteristiche, e con un coach che capisca pure l'italiano, cosi vi ho detto tutto!

Collegato al draft c'è il mercato, nel quale, come dire, "spiccano" le paturnie di Kobe che vuole cambiare aria, di Garnett che deve essere convinto a restare, e di varia umanità che deve decidere se e dove mettere le radici.

I due nomi di cui sopra sono belli pesanti: intuisco che Stern faccia un tifo smodato per vedere il figlio di Jellybean in pianta stabile al Madison, ma anche Chicago non sarebbe male come destinazione...

Enjoy!

P.S.: c'è un curiosissimo rumor di mercato che voleva Kevin Garnett in maglia biancoverde. Non credo ci crederò neanche al termine della prima stagione giocata al Fleet. E la cosa fantastica è che un sacco di tifosi in verde vede come il fumo negli occhi uno scambio che porterebbe a Minnie Jefferson, Green, Telfair e non ricordo cos'altro. Ho letto qualcuno scrivere: perchè privarsi di uno come Jefferson che quest'anno ha fatto 16+11 per prendere uno che più o meno ha le stesse cifre (direi "+", visto che il Bigliettone ha archiviato come pessima una stagione da 22.4 e 12.8).

Ripeto, io non credo che i Celtics abbiano l'appeal sufficente per attirare uno come Garnett, che se si muove va in un posto più appetibile. Certo è che, facendo il Fantabasket, Pierce+Garnett in buona salute (Garnett quest'anno e quello prima ha saltato gare solo per "tanking mode", in media l'unica cosa che fa meno spesso di riposarsi è perdere le palle a due), mi aumenterebbero di brutto la saliva...

Aggiornamento: Garnett ha fatto sapere che se lo mandano ai Celtics, lui la stagione successiva non rinnova, ergo Ainge lo perde in cambio di due orecchie da somaro. Come volevasi dimostrare....


Kicco

Wednesday 20 June 2007

Telenovela Bryant: Chicago ultima puntata?


Appena finite le finali NBA, torna alla ribalta il tormentone dell’estate: l’infausto destino di Kobe Bryant. Prigioniero di un contratto faraonico e di una franchigia tristemente decadente, il fuoriclasse losangelino ha ripreso a rilasciare pugnaci dichiarazioni. Dopo la smentita alla sua prima, tuonante minaccia di fine maggio "I want to be traded", apparentemente sedata dall’intervento "zen" di coach Phil Jackson, ora il buon Kobe è tornato alla carica.

"Più penso al futuro, più mi convinco che io e i Lakers abbiamo due visioni differenti. I Lakers stanno programmando un piano da qui a quattro anni, una cosa diversa da quella che il presidente mi ha prospettato quando abbiamo allungato il contratto. Oggi è uno di quei giorni surreali per me e la mia famiglia. C’è una nuova strada davanti a me. Quando tu ami qualcosa così tanto, come io amo i Lakers, è difficile pensare a un futuro da qualche altra parte, ma l'unica cosa che non sacrificherò mai, quando si parla di basket, è la vittoria. E' nel mio Dna, è quello che mi spinge a lavorare nel modo più duro possibile."

Il quadro sembra delinearsi chiaramente. I tre anni post O’Neal sono stati fallimentari per i Lakers. Solo l’anno scorso i giallo-viola hanno tenuto fede al loro blasone, dando filo da torcere ai Phoenix Suns in una serie equilibratissima, vinta da Nash e soci alla settima partita. A parte quel guizzo, mai la squadra ha dato l’impressione di poter essere competitiva. Le scelte di mercato dei dirigenti losangelini sono sempre state incomprensibili e all’insegna dell’immobilismo: caduta anche la chimera Garnett, pare proprio che Kobe voglia tornare a vincere l’anello altrove. Lo scambio sulla bocca di tutti sarebbe quello coi Chicago Bulls: il divo Kobe approderebbe sulle sponde del Lago Michigan in cambio dell’esplosivo Deng, del cecchino Gordon , forse di Wallace e di un altro paio di dettagli in quella che sarebbe la più mastodontica trade da tempo immemorabile.

Difficile dire se lo scambio andrà in porto. La sensazione è che non sia però un grande affare per entrambe le parti. I Bulls sono una squadra fortissima, che si basa fondamentalmente sul collettivo, e bisognerà vedere come vi si inserirebbe un giocatore da 40 tiri a partita come Bryant. Deng e Gordon sono però stati i due giocatori chiave dell’ascesa della franchigia sei volte campione del mondo. Bryant sarebbe affiancato dal talentuoso Hinrich, dall’esplosivo Nocioni e dal potente Tyrus Thomas. Hinrich e Nocioni, coi loro jumpers, potrebbero certamente sfruttare meglio di quanto non abbiano fatto i compagni di Kobe nei Lakers le attenzioni dedicate a Bryant: mancherebbe però qualcuno in grado di fare il classico "score on the block"; insomma, il classico Pippen della situazione, visto che nemmeno Jordan vinceva i titoli da solo. Già, MJ: il convitato di pietra. Per Kobe non sarà certo facile giocare in quello che fu il tempio del più grande di sempre, senza contare che coach Scott Skiles non avrà nei confronti delle bizzarrie da prima donna di Kobe la stessa indulgenza zen di Phil Jackson. Per altro, coi declinanti Pistons, a Est si prevede uno scontro tra Cleveland e Miami in futuro: spazio per Chicago potrebbe in fondo esserci, chissà. Per quanto riguarda i Lakers, l’addio di Bryant sarebbe un gravissimo danno di immagine. Un ideale quintetto Deng-Gordon-Odom-Wallace-Bynum non sembra poi essere in grado di eclissare le corazzate della Western Conference, senza contare che l’anno prossimo Portland tornerà grande col prodigio Oden e Seattle promette di fare altrettanto.

Insomma: i Lakers farebbero meglio a tentare di recuperare in pochi giorni tutto quello che non hanno fatto in tre anni di stagnazione.

Monday 18 June 2007

We're safe tonight


Siamo tutti salvi. Ora lo possiamo dire.
Sappiamo tutti cosa è accaduto a Mestre solo tre giorni fa. Heineken Jammin' Festival: festival interrotto a causa di una tromba d'aria che si è abbattuta sulla location e ha causato ingenti danni alle attrezzature. Alcuni ragazzi sono rimasti feriti, fortunatamente nessuno è morto. Fortunatamente.
I giornali stanno gonfiando ciò che è accaduto e lo stanno tramutando in una specie di tragedia. Fortunatamente, ripetiamo FORTUNATAMENTE, la tragedia non c'è stata. Se solo la tromba d'aria ci fosse stata solo qualche ora dopo, la tragedia ci sarebbe potuta essere. Se tutto ciò che è successo ha fatto finire diversi ragazzi in ospedale e ha reso inagibile il palco, provate a pensare a ciò che sarebbe potuto accadere se il fatto fosse successo solo qualche ora dopo...
E' lontano da noi puntare il dito contro qualcuno, ancora si hanno poche informazioni a riguardo e sono già state preposte persone che sapranno constatare e decidere se tutto questo poteva essere evitato e su chi, eventualmente, ricadrà la colpa.
Con questo comunicato vogliamo solo far riflettere tutti i Jammers (e non solo) su quanto potrebbe essere accaduto. E' inammissibile che per una tromba d'aria (che non andava a 200 Km/h come sostiene qualcuno) si sia dovuto sospendere un festival, si siano fatte tornare a casa 30.000 persone, si siano fatti muovere tanti ragazzi dal centro Italia e dal sud Italia per poi farli tornare nelle loro case, sconsolati, tristi e perplessi.
Serve a ben poco il box pubblicato ieri su 'Il Corriere della Sera' a cura di Mario Luzzato Fegiz nel quale si analizzano 'concerti andati male' in Italia negli ultimi trent'anni ad opera di alcuni deficienti che non avevano di meglio da fare che sabotare i vari shows (esempio: persone che hanno sfondato le entrate per un concerto di Renato Zero negli anni Settanta e che sono cadute da un ponticello, bilancio: un morto ed un paralizzato). Con questo articolo che cosa si voleva fare? Solo far passare questo fenomeno atmosferico come una cosa del tutto imprevedibile e non arginabile. Tale articolo si conclude cosi': "Il vero nemico del rock all'aperto resta il maltempo. Quando, come è accaduto ieri a Venezia, la gente cerca riparo proprio nei luoghi che si rivelano meno sicuri". E' incredibile come certi giornali, pare, ora facciano ricadere la colpa del fatto accaduto non solo sul tempo ma persino sul luogo dove i ragazzi si sono riparati.
INAMMISSIBILE.
Non è vero che, come riporta sempre 'Il Corriere della Sera' intervistando il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, se l'evento si fosse tenuto a Imola sarebbe successa la stessa cosa. Non servono certo scienziati per comprendere che una città come Mestre sia ben più esposta a fenomeni di questo tipo rispetto a Imola.
Con questo comunicato intendiamo spronare i ragazzi presenti a Mestre non solo a lamentarsi del fatto accaduto, dello show cancellato, ma anche a non chiudere gli occhi davanti a tutto ciò che è successo e a dimenticarselo ben presto.
Per poco si è sfiorata la tragedia. Cosa sarebbe successo se la tragedia fosse realmente accaduta?
Ci sarebbero stati morti, come prima cosa. I Pearl Jam, chissà, forse si sarebbero divisi, il rock sarebbe stato visto di nuovo come un demone, come veniva additato da tantissime persone solo pochi anni fa. Cosa si può fare? Non è facile da dire, ma con questo scritto speriamo vivamente di spronare gli addetti ad indagare sul fatto e a fare tutto il possibile per capire bene di chi è stata la colpa di tutto questo. Non si può dire 'ah, che tempo di merda', questo non si puo dire, cazzo. Per lo meno, non si può dire solamente questo.
Speriamo che questo comunicato serva a far in modo che tutte le pratiche siano svolte nel MODO PIU' ACCURATO POSSIBILE per EVITARE, in futuro, che si ripropongano fatti del genere.
Ai nostri occhi pare che si sia fatto di tutto per fare apparire questo festival visivamente 'bello'. Creando un parallelismo: è come se uno prende un veicolo per affrontare un lungo viaggio. Lo lucida, lo lava, lo rende 'bellissimo' ai suoi occhi e agli occhi delle persone che lo vedranno. Poi, quando è in strada, una gomma si buca perchè era una gomma vecchia. Non si può prestare attenzione solo all'esterno, alla bellezza esterna, atteggiamento tanto in voga in questi anni. Come prima cosa si deve rendere il veicolo il piu' sicuro possibile.
Speriamo, quindi, che tutte le indagini vengano svolte nel miglior modo possibile e che se ci saranno colpevoli vengano, giustamente, puniti. Speriamo che non ci si comporti all'italiana anche in una situazione del genere.

Wednesday 13 June 2007

L.A. Confidential: i capricci di Kobe nella telenovela chiamata Lakers


"Stars aligned in Lakers drama". Il L.A. Times, compagno inseparabile delle mie giornate (anche e, soprattutto, grazie ad internet) apriva a tutta pagina l'edizione della domenica.
Così, mentre tutto il mondo cestistico si scandalizza, sotto l'incantato cielo di L.A. la notizia viene presa con estrema filosofia e tranquillità.
Una storia già vista, che non scompone più di tanto l'angleno mentre legge il giornale nei bistrot di Venice, più interessato alla riedizione moderna de "Le mie Prigioni" scritta da Paris Hilton o ai guai gidiziari di Lindsay Lohan.
La nuova storia che si sviluppa in casa gialloviola ha tutti gli ingredienti che servono per essere la vostra telenovela preferita: le comparse non richieste, le liti, le ripicche, gli amori traditi, il perdono, il nuovo amore. E qual è il posto più bello per ambientare il tutto se non Hollywood? "The dreams start here" dice un cartello posto davanti al Beverly Hills Hotel, meta storica di attori e modelle su Sunset blv.
Ma certe volte i sogni posso anche finire, deve aver pensato forse il più importante degli attori che popolano L.A.: Kobe Bryant. Fin da quando è entrato in the L ha diviso, divide ancora e dopo questa storia dividerà ancora di più.
"Hate me or love me" proprio come cantava 2pac, l'altro re immortale della Los Angeles nera.

"Another Drama in L.A. summer" è il titolo che i giornali si sono affrettati a dare e, vi confesso, in molti han tirato un sospiro di sollievo. Colpa della nostalgia canaglia, quando Kobe e Shaq si scambiavano insulti da sotto l'ombrellone e poi vincevano regolarmente l'anello da migliori amici. Partito Shaq (c'è ancora chi, come me, fatica a vederlo in maglia Heat), le estati sono trascorse tranquille con un Kobe calato nel ruolo di buon padre, silenzioso e prodigo di consigli per i giovani compagni. Colpo di scena: le tante sconfitte, la frustrazione di vedere un progetto di ricostruzione non così rapido come doveva essere, la consapevolezza di essere una first round playoff team devono aver scatenato l'orgoglio del campione ferito.
E allora mi rimbalzano in mente le parole di John Salley (uno che, oltre a vincere tre titoli, ha avuto il privilegio di giocare sia con MJ che con Kobe) che riconduceva la differenza fra un grande e un grandissimo giocatore solo a un fatto esclusivamente mentale e non tecnico.
"Questi grandi campioni sono accompagnati" continuava " inevitabilmente, da un ego smisurato che li porta a superare tutto e tutti e soprattutto (cerco le parole per renderlo meno colorito di quanto riferitomi) hanno due grandi attributi. Kobe è esattamete questo giocatore, il migliore senza dubbio oggi come oggi nell'NBA (non voglio sentir ragioni) con una voglia di vincere famelica e feroce dentro che lo ha sempre caratterizzato".
Dunque, sigla, titolo e ....

PRIMO EPISODIO: L'AMARA ELIMINAZIONE
Fuori da Phoenix in 5 partite con l'amara sensazione di non essere stati mai all'altezza, Kobe ha pensato un paio di notti e poi si è presentato in sede. Niente saluti per le vacanze, niente cena sociale di fine anno, niente abbracci, ma riunione fiume di 5 ore con Jakcson e Kupchak dove il 24 mette le carte in tavola. Finita gara 5 era stato chiaro: "Dobbiamo fare qualcosa e quel qualcosa lo dobbiamo fare subito, questa è una città competitiva, siamo abituati a vincere titoli, non uscire al primo turno".
C'è un piccolo-enorme problema: i Lakers non possono spendere grandi soldi essendo già 3,4 milioni di dollari sopra il salary cap. Solo la mid level exception permette di muovere qualcosa anche se il rinnovo di Walton chiede attenzione. In parole povere significa solo una cosa: o trade o....trade per portare il big tanto agognato vicino a Kobe.
Kupchak, nell'occhio del ciclone come non mai, ribadiva il concetto: "Ci sentiamo tutti allo stesso modo, faremo il possibile perchè vogliamo tornare ad essere una contender già dal prossimo anno".

SECONDO EPISODIO: LA GUERRA DEI BUSS
Passa una settimana, con i nomi di Garnett e Jermaine O'Neal che rimbalzano, stessa spiaggia stesso mare, sale alle cronache (senza che se ne sentisse il bisogno) Jim Buss, figlio di Jerry, alla disperata ricerca di ritagliarsi un ruolo di rilievo nell'organizzazione (senza peraltro riuscirci). Con l'atmosfera già tranquilla di suo, pensa bene di criticare il lavoro di Jackson per questioni meramente legate all'utilizzo di Bynum, sua scelta. Pronta e piccata la risposta di Jamie Buss (la sorella) casualmente, ma anche non troppo, fidazata di coach Zen, che ridimensiona il caso riducendo tutto a un malinteso e già che è in ritmo dando dell'idiota al fratello. E qui chiudiamo, degnamente, la seconda puntata.

TERZO EPISODIO: L'OMBRA DI Mr. LOGO
Kobe Bryant, che quando vede rosso attacca, esce allo scoperto, invocando a gran voce il ritorno di Jerry West al timone delle operazioni fino al 2000 (lasciate, sembra pare e si dice, per dissapori con la dirigenza e coach Jackson). Aggiunge senza problemi: "Io credo ciecamente in Jerry, non voglio incolpare o cacciare nessuno, Mitch è un ottimo ragazzo, ma West mi conosce perfettamente e sa cosa serve per vincere". West intanto, casualmente in scadenza di contratto con Memphis e libero dal 1 luglio, si appresta a tornare nella sua casa di Bel Air.
Che Kupchak piaccia a pochi non è una novità. Anche se come GM ha vinto i totoli del 2001 e 2002, dove sostanzialmente ha raccolto i frutti di West, di lui non si ricorda una mossa di mercato degna di nota, compreso il colpo Payton-Malone giunti in gialloviola convinti dalle parole di Shaq. Che il suo contratto in scadenza il prossimo anno non venga rinnovato è cosa certa. Nel frattempo Bryant (che, ricordiamo, ha un opzione per uscire dal contratto fra due anni) assicura a tutti che sarà un Lakers a vita mettendo a tacere i primi rumors che lo volevano sul piede di partenza in caso West non fosse stato assunto.
Il set e le riprese si trasferiscono in infermeria dove da male si tende al peggio. Colpo basso: Odom e Bynum, rispettivamente primo e secondo indiziato per essere inseriti in una possibile trade, si devono operare e ne avranno fino a tardo novembre rendendo ogni cosa drammaticamente più complicata.

QUARTO EPISODIO: IL BOSS E LA MODELLA
Puntata cult: Buss Jerry, anni 74 e non sentirli, per rendere più pepata l'atmosfera e dargli quel tocco in più, si fa sorprendere dalla polizia di Carlsbad (splendido sobborgo stile olandese che bacia il Pacifico) per guida in stato di ebbrezza. Al suo fianco l'immancabile 23 enne modella di un certo spessore. La notizia non sorprende nessuno.

QUINTO EPISODIO: IL 24 FURIOSO
Il sole non fa in tempo a tramontare e le luci del Sunset Strip ad accendersi che il 24 riprende in mano il gioco. L'occasione la fornisce un intervista radiofonica a Stephen Smith di ESPN Radio dove, incalzato sull'argomento, esplode tuonando. E le sue parole fanno male, male vero. "Voglio essere ceduto, arrivare a questa conclusione è davvero dura per me, ma non ho altre alternative. I Lakers vogliono ricostruire la squadra, io però ho altri progetti, non posso aspettare ancora. Avrebbero dovuto essere più chiari quando tre anni fa firmai la mia estensione". E aggiunge rincarando: "Nella situazione in cui mi sento ora, andrei a giocare anche su Plutone".
Il malumore ha radici profonde e non figlio di uno sfogo improvviso o di un rigurgito d'orgoglio. Kobe paga, di fronte all'opinione pubblica, l'idea che la colpa della dipartita di Shaq sia sua, quando in realtà fu Buss a non volere allungare il contratto a The Diesel agevolando il suo viaggio verso Miami. Retroscena: è cosa nota fra le palme della California che Shaq chiedeva un prolungamento triennale di 80$, esattamente 15$ in più di quello che il proprietario offriva. Visto la posizione rigida delle due parti, trade inevitabile con Kupchak che commette l'errore capitale di non chiedere Wade, considerandolo un doppione dell'allora 8.

SESTO EPISODIO: LE SCUSE SU POWER 106
Dopo aver minacciato di andare su Plutone, spazio poche ore, Kobe fa ritorno sulla Terra e addolcisce le parole, complici due telefonate (Jackson e Magic) che gli fanno cambiare idea.
Il mezzo scelto per le scuse è la radio: le dichiarazioni di rito a vanno in onda sulle frequenze di KLAC, la radio ufficiale dei lacustri.
Ma la vera confessione, rivolta al popolo purple and gold e fatta con il cuore in mano, va in onda su Power 106. L.A. Power106 è La (rigorosamente maiuscola) radio hip hop della Città degli Angeli, forse la più nota d'America nel settore, il cuore nero di L.A.
Le parole rivolte a Jeff Garcia sono al miele e convinte.
"Spero che la dirigenza faccia qualcosa, perchè io non voglio andare da nessuna parte" dice "Voglio stare qui. Sono stato tifoso Lakers fin da bambino, ho iniziato la mia carriera con questa maglia e con questa voglio finire, sono un die hard lakers fan". Questo, pressapoco, il riassunto di una conversazione che ridimensiona il caso e fa rientrare l'allarme.

E' riesploso l'amore? Non del tutto o perlomeno non esattamente.
Inevitabili impazzano le discussioni sui quotidiani e i sondaggi: meglio cedere Kobe o meglio vivere con la moglie separata in casa?
Personalmente, sarà il cuore che me lo suggerisce ma anche la logica, vedo molto difficile che il 24 lasci Los Angeles o che la dirigenza si privi di lui.
Si è parlato di qualsiasi tipo di trade: a Phoenix per Marion e Diaw, o a Chicago per Deng e Gordon, o a Indiana per O'Neal e qualcun altro, ma il discorso non avrebbe alcun senso. Troppo squilibrata la contropartita in ogni caso. E i Lakers lo sanno. Al giorno d'oggi, se guardiamo il valore tecnico, Kobe è cedibile alla pari solo con LeBron o Wade, il che preclude ogni tipo d'operazione.
Jerry Buss è stato fin troppo chiaro dopo aver parlato con il suo giocatore -franchigia nel post terremoto: "Non esiste nessuno, ripeto nessuno sulla Terra che scambierei per Kobe. Punto."
E allora la soluzione è presto scritta: accontentare Kobe sempre e comunque.
Subito è circolata la notizia, diffusa ad arte per placare i bollori, che i contatti per portare Marcus Camby in gialloviola siano a buon punto in uno scambio alla pari che vedrebbe come contromerce Kwame Brown.
Primo dubbio: se è vero che Kwame costa 9 milioni ed è in scadenza quindi appetibilissimo, è anche vero che arriverebbero 26 milioni da accollarsi per i prossimi tre anni, il che chiuderebbe il mercato da qui al 2010.
Secondo dubbio: siamo sicuri che sia Camby il giocatore che cambia i destini dei Lakers, per pur bravo che sia? La risposta la sapete da soli.

Così, mentre West prepara lo scatolone di cartone con gli effetti personali per riprendere il suo posto dal 1 luglio a El Segundo, giungono notizie dal box office. Con i vecchi abbonati che hanno riconfermato per il 97% il proprio posto i biglietti allo Staples nella prossima stagione (sponda Lakers chiaramente) aumenteranno del 5%, confermando il primato nella speciale classifica fra le arene d'America.
In un giugno atipico con i Mighty Ducks, orgoglio Disney, che vincono la Stanley Cup di hockey, rubando un po' di titoli alla telenovela, scattano inevitabili i paragoni.
Con il biglietto bordo campo, dove se voglio tocco il ghiaccio, con cui vado a vedere i Ducks al Pound di Anaheim, allo Staples mi accomodo fra il primo e il secondo anello. Bello no?

Come dite? Giugno è il mese delle finali NBA con gli odiati Spurs pronti per il quarto sigillo?
Who cares.