Thursday 22 February 2007

But I'll be back before the summer

Dov'è finita quell'ispirazione che avevo? Non sono più in grado di scrivere qualcosa di sensato, che sia una pagina o una riga.
E' Milano che mi ha rubato lo spirito ironico che avevo. Questa Milano fredda e inospitale, che a tratti sembra un po' la Bisanzio già cantata da Guccini, quella piena di filosofi ed eteree, di un imperatore sposo di puttana, per le cui vie si sente bestemmiare in alamanno o in goto, e tutti attendono il compiersi di un destino che mai si compirà. Non è la Milano poetica e affascinante che Buzzati seppe tratteggiare con la semplicità coinvolgente di un romanzo tutto improntato sull'impossibilità di conoscere l'altro, fosse anche la donna della tua vita.
Sabato scorso, si parla di data 17 febbraio 2007, un aereo della sconquassata Alitalia è atterrato all'aeroporto di Malpensa. Il quale aeroporto, lo dico come precisazione assolutamente interessata, appartiene al territorio di Somma Lombardo, e quindi in piena provincia di Varese. Milano, di aeroporti, ha solo Linate. Comunque, questa è un'altra storia, e se verrà raccontata più avanti forse ci sarà spazio anche per certi zombie emersi mesi fa dai banchi del check in.
L'aereo in questione arrivava da lontano, da molto lontano. Sempre Europa, ma un'Europa strana, diversa, quasi estranea agli agi e alle comodità del nostro bel paese, dove i governi cadono e il giorno dopo si riformano come se nulla fosse successo. Dove l'attenzione è posta sui fischi negli stadi, e dove in forza di una manifestazione si blocca il progresso. Là, invece, di problemi ce ne sono altri, ben più gravi, ma forse meno venati da quel moralismo che ormai è impossibile dissipare.
Dopo l'aereo c'è stato il treno, in partenza dalla Stazione Centrale, che adesso, ahimè, non è più la Centrale del portoghese che telefonava divertendosi come un matto sotto il tabellone degli arrivi, e non è più la Centrale di una sera d'agosto in cui, allora sì, un certo destino iniziò a compiersi, spinto da un'ultima sigaretta al gusto di fritto cinese, seguita ad un caffè che invece aveva tutto il sapore di una promessa. Ma si sta divagando.
Dalla Centrale a Verona, e tanti saluti a tutti. Che, nell'accezione specifica, significa tanti saluti al sottoscritto. Una settimana può passare in un amen, oppure può essere lunga come gli inverni del Nord Italia. Questa settimana è di quelle che rimangono, e se oggi è giovedi è solo perchè le giornate hanno comunque ventiquattro ore, volenti o nolenti, ma nelle mie notti da trecentosessanta minuti e anche meno sono parse l'eternità di un overtime decisivo per il titolo.
Sveglia, treno, ufficio, pranzo, ufficio, treno, casa, cena, qualche fuori programma serale: eccoli, i miei cinque giorni lavorativi. Una routine assolutamente piacevole, ma che ha il potere di sfiancarti come nemmeno la salita infinita verso la baita del Capodanno. E quando hai il cuore carico di aspettative beh, non è per niente vero che il tempo scorra come impazzito. Perchè pazzo lo è davvero, ma solo perchè sembra essersi fermato.
E al termine di un secolo, forse, ci saranno solo due minuti. E al termine di un secolo, probabilmente, non ci sarà che un saluto abbozzato nel freddo intenso di via Canova. E magari, a voler essere cinicamente realisti, non ci sarà spazio nemmeno per stringersi la mano. Non è chiaro quello per cui stiamo aspettando, figuriamoci se può essere evidente il futuro prossimo, inteso come weekend in arrivo.
Un altro aereo partirà, stavolta con percorso inverso, e sarà finita. E lì sì che si parlerà di routine di tutti i giorni. Peccato.
Ma poi perchè peccato, quando le notti folli con il cellulare occupato fino alle due non ci sono più. Perchè peccato, se di caselli non ne devo più pagare. Perchè peccato, se a giugno i Pearl Jam torneranno in Italia e io, ancora una volta, ci sarò.
Viene da dire che il peccato è quello di non aver dato ascolto a chi aveva già capito tutto con due anni d'anticipo. Un giorno pensavo di essere io, quello che aveva ragione.
Se avessi saputo allora quello che so adesso.

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