Travestito da sogliola nelle chiare fresche acque della fonte Gaia, prima di trovare sollievo dal bordello del dico e non dico, delle terne arbitrali che non sembrano linci, da chi ama Markovski ma lo trova sempre difficile da misurare, da chi ama Pianigiani, ma trova sempre difficile dirgli bravo per le cose che fa bene e attento per quello che un esordiente può anche sbagliare. Via dalla pazza folla degli adulatori, di quelli che sapevano tutto troppo presto, fuga verso strade che non sono autostrade seguendo il pensiero di Pedro W. che non sempre si diverte se tratti male quelli che devono essere trattati male, scoprendo l’ipocrisia dopo l’ultimo sorriso, perché nella sostanza esiste un cielo dove si sentono tutti angeli, anche se non sono degni di essere considerati la nuova tribù del verbo essere.
Castagneti, funghi, zone del silenzio ascoltando bene cosa dice Vecchioni, cosa canta Alice, come raccontano il mondo quelli di Viva la Rai, facendo sosta, all’andata e al ritorno, nella contrada di Valserena, ai confini fra Emilia e Toscana, sopra Pian del Voglio, facendo la guardia alla casa del commissario P., di fianco a troppe case che Carlo, il genio del luogo, vorrebbe venderti dopo aver accontentato il palato e la mente. Ultimo viaggio per chi legge queste note. Ultimo sorso, ultime gocce.
Doveva vincere Siena perché era la più forte, così è accaduto. In finale poteva trovare le tre peripatetiche arrivate insieme a pari punti in quello che era il secondo posto di Lucignolo. Tutti Davide che, come dice argutamente Bianchini, hanno scoperto in fretta che al meglio delle cinque vincerebbe sempre Golia, se poi è un Golia bello e ben organizzato addio fichi. Milano è andata per terra perché non aveva fame, non aveva gioco, ma, soprattutto, non aveva difesa. Roma è andata fuori perché non aveva linci al seguito, perché era sbagliata alla nascita ed è cresciuta portandosi dietro tare di una malattia infantile che era poi il suo limite, Bodiroga a parte, si capisce, Repesa a parte, si capisce, anche chi lo punzecchia da Lillipozia sa bene che quando devi costruire sulle svendite, sugli scarti, su giocatori dal volto mascherato, puoi arrivare vicino all’oasi dei desideri, ma senza poterti abbeverare. La Virtus è stata l’ultima a cedere e lo ha fatto da grande società, con una discreta squadra, un eccellente allenatore, lo ha fatto anche se la serie di infortuni le hanno tolto le armi di cui aveva bisogno nel cuore dell’area, anche se ha camminato sul filo del rasoio inventandosi di tutto, ma non poteva bastare e sui brindisi festosi, gli allenamenti in piazza discuteremo in altri momenti, anche sotto la pressione di chi urla: se lo avessimo fatto noi ci avrebbero crocifisso dopo certe percentuali di tiro. Faticoso capire proprio tutto, difficile scoprire se è meglio fare o è meglio dormire.
Queste quattro vanno in Europa. Fa paura sapere che si sentono già in difficoltà perché sul piano economico la battaglia sarà durissima per avere giocatori che servono nell’unica vera grande arena di un basket europeo che così male non deve essere come hanno scoperto nella NBA decidendo che i premi andavano proprio a ragazzi cresciuti ai margini del sistema, anche se poi tutti si sono adeguati e finiranno nella globalizzazione del gioco isolato per marchesini del Grillo che zompano, zompano e devono essere curati dall’analista.
Siena è quasi pronta. Due incastri e sarà competitiva, ma ora deve pensare al palazzo nuovo, al charter fisso per risparmiare notti troppo lunghe, settimane senza tanti allenamenti, badando bene che non succeda come dopo il primo scudetto quando i grilli intorno al Campo hanno cominciato a parlare bene soltanto delle cicale, schiacciando le formiche operose.
Milano sembrava assetata di grande teatro, ma dopo aver sentito il Corbelli dichiarare che l’allenatore preferito, lo Scariolo malagueno, costa troppo, siamo rimasti tutti un po’ male. Ma come, con dietro Armani, tutti quegli sponsor, si parla di costi troppo alti? Certo non si predica per avere dei fessi che sprecano denaro, ma se gli stessi che hanno dato certi stipendi si fermano davanti al discorso quattrini per un tecnico che ormai sembra necessario è avvilente. Soprattutto perché i fatti hanno dimostrato che Djordjevic era stato lasciato solo, perché il biennale per Natali fa capire che il domani non sarà mai costruito su questa coppia manager - allenatore, perché mentre si fa il giro tondo di chiese sconsacrate altri portano via giocatori che qualcuno già vedeva in casacca Olimpia, tipo Goree.
Pagellone sul tigellone, ascoltando Tigellino, pagellone per le finaliste più che per i comprimari.
10 e lode a Romain Sato che tiene le sue mani forti sul sistema Montepaschi. Direte che è ripicca perché preferivamo lui a Mc Intyre come giocatore dell’anno. Forse. 10 A Minucci e Sabatini perché pur per strade diverse hanno disegnato due progetti che vale la pena di seguire.
9 al Kaukenas dell’ultimo tiro, delle grandinate contro Roma e Virtus fuori casa, delle partite da sesto uomo, delle sofferenze per aver dovuto sopportare quello che la logica gli diceva non fosse tanto logico. Magari tutti ascoltassero la voce della società e dei tecnici che sono pagati per guidare certi uomini, per sposare certe teorie. Restiamo nel dubbio aspettando l’autunno degli agenti bla bla blum.
8 a Guillerme Giovannoni perché dopo tanti tentativi pensavamo che non sarebbe mai arrivato ad essere il giocatore che vediamo adesso con la maglia Virtus.
7 A Joseph Forte che nell’euforia finale non si è dimenticato di ringraziare chi gli ha costruito intorno le mura per poter pensare sempre, o quasi sempre, al basket della squadra più che al suo.
6 ad Andrea Crosariol perché non avevamo visto male quando gli chiedevamo di pensare in grande, di pensare come pedina base per il gioco Virtus. Perché diffidiamo ancora dei suoi sorrisi perduti nel nulla. Perché ci hanno detto che sembrava crudeltà stuzzicarne orgoglio e ricerca di miglioramenti costanti. Perché lui dimostra che nella carestia se punti su certi giocatori italiani arrivi comunque ad avere qualcosa di più che da certi giullari con la bandana dello zio d’America.
5 a Rodolfo Rombaldoni perché siamo sicuri che avrebbe potuto essere più importante negli scudetti Fortitudo e Montepaschi, nelle medaglie azzurre. Lui è la fotografia di come troppa sensibilità, intelligenza, educazione, vengano spesso considerate qualità di secondo piano.
4 all’Amoroso fuggito dalla Cina, dalla maglia azzurra perché avrà avuto anche motivi seri, ma qualcosa non ci convince e questo andrà valutato da chi vorrebbe prenderlo da Montegranaro.
3 al genio del male che ha voluto una quinta partita fra Panathinakos ed Olympiakos a chi non ci ave va avvertito che i campioni d’Europa erano in flessione e la delusione d’Europa aveva ritrovato un passo, un tiro.
2 alla Lega per aver accettato tutte le finali in notturna, per non aver mai deliberato sulla obbligatorietà dell’aria condizionata, per non averci ancora urlato, tutta insieme: vogliamo migliorare imitando i più bravi.
1 ad Ettore Messina che rientrato in Italia è finito in ospedale per un brutto virus. Lui la chiamerà sfortuna, noi ci siamo sentiti orfani, Markovski si è sentito unica calamità per lo sberleffo, Pianigiani si è sentito defraudato perché voleva dimostrargli come i giovani allenatori italiani crescono ispirandosi a lui. Chi vuole aggiungere uno zero e farlo diventare 10 non troverà ostacoli.
0 al Corbelli che conferma e non conferma, che parla di allenatori troppo costosi per una società che aveva promesso al suo pubblico di fare tutto per essere ancora fra le prime in Europa. Svenarsi non ha senso, sbagliare investimenti è già stato fatto, ma risparmiare sui tecnici dimostra come il mare resti profondo per certi uomini rana.
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