"Stars aligned in Lakers drama". Il L.A. Times, compagno inseparabile delle mie giornate (anche e, soprattutto, grazie ad internet) apriva a tutta pagina l'edizione della domenica.
Così, mentre tutto il mondo cestistico si scandalizza, sotto l'incantato cielo di L.A. la notizia viene presa con estrema filosofia e tranquillità.
Una storia già vista, che non scompone più di tanto l'angleno mentre legge il giornale nei bistrot di Venice, più interessato alla riedizione moderna de "Le mie Prigioni" scritta da Paris Hilton o ai guai gidiziari di Lindsay Lohan.
La nuova storia che si sviluppa in casa gialloviola ha tutti gli ingredienti che servono per essere la vostra telenovela preferita: le comparse non richieste, le liti, le ripicche, gli amori traditi, il perdono, il nuovo amore. E qual è il posto più bello per ambientare il tutto se non Hollywood? "The dreams start here" dice un cartello posto davanti al Beverly Hills Hotel, meta storica di attori e modelle su Sunset blv.
Ma certe volte i sogni posso anche finire, deve aver pensato forse il più importante degli attori che popolano L.A.: Kobe Bryant. Fin da quando è entrato in the L ha diviso, divide ancora e dopo questa storia dividerà ancora di più.
"Hate me or love me" proprio come cantava 2pac, l'altro re immortale della Los Angeles nera.
"Another Drama in L.A. summer" è il titolo che i giornali si sono affrettati a dare e, vi confesso, in molti han tirato un sospiro di sollievo. Colpa della nostalgia canaglia, quando Kobe e Shaq si scambiavano insulti da sotto l'ombrellone e poi vincevano regolarmente l'anello da migliori amici. Partito Shaq (c'è ancora chi, come me, fatica a vederlo in maglia Heat), le estati sono trascorse tranquille con un Kobe calato nel ruolo di buon padre, silenzioso e prodigo di consigli per i giovani compagni. Colpo di scena: le tante sconfitte, la frustrazione di vedere un progetto di ricostruzione non così rapido come doveva essere, la consapevolezza di essere una first round playoff team devono aver scatenato l'orgoglio del campione ferito.
E allora mi rimbalzano in mente le parole di John Salley (uno che, oltre a vincere tre titoli, ha avuto il privilegio di giocare sia con MJ che con Kobe) che riconduceva la differenza fra un grande e un grandissimo giocatore solo a un fatto esclusivamente mentale e non tecnico.
"Questi grandi campioni sono accompagnati" continuava " inevitabilmente, da un ego smisurato che li porta a superare tutto e tutti e soprattutto (cerco le parole per renderlo meno colorito di quanto riferitomi) hanno due grandi attributi. Kobe è esattamete questo giocatore, il migliore senza dubbio oggi come oggi nell'NBA (non voglio sentir ragioni) con una voglia di vincere famelica e feroce dentro che lo ha sempre caratterizzato".
Dunque, sigla, titolo e ....
PRIMO EPISODIO: L'AMARA ELIMINAZIONE
Fuori da Phoenix in 5 partite con l'amara sensazione di non essere stati mai all'altezza, Kobe ha pensato un paio di notti e poi si è presentato in sede. Niente saluti per le vacanze, niente cena sociale di fine anno, niente abbracci, ma riunione fiume di 5 ore con Jakcson e Kupchak dove il 24 mette le carte in tavola. Finita gara 5 era stato chiaro: "Dobbiamo fare qualcosa e quel qualcosa lo dobbiamo fare subito, questa è una città competitiva, siamo abituati a vincere titoli, non uscire al primo turno".
C'è un piccolo-enorme problema: i Lakers non possono spendere grandi soldi essendo già 3,4 milioni di dollari sopra il salary cap. Solo la mid level exception permette di muovere qualcosa anche se il rinnovo di Walton chiede attenzione. In parole povere significa solo una cosa: o trade o....trade per portare il big tanto agognato vicino a Kobe.
Kupchak, nell'occhio del ciclone come non mai, ribadiva il concetto: "Ci sentiamo tutti allo stesso modo, faremo il possibile perchè vogliamo tornare ad essere una contender già dal prossimo anno".
SECONDO EPISODIO: LA GUERRA DEI BUSS
Passa una settimana, con i nomi di Garnett e Jermaine O'Neal che rimbalzano, stessa spiaggia stesso mare, sale alle cronache (senza che se ne sentisse il bisogno) Jim Buss, figlio di Jerry, alla disperata ricerca di ritagliarsi un ruolo di rilievo nell'organizzazione (senza peraltro riuscirci). Con l'atmosfera già tranquilla di suo, pensa bene di criticare il lavoro di Jackson per questioni meramente legate all'utilizzo di Bynum, sua scelta. Pronta e piccata la risposta di Jamie Buss (la sorella) casualmente, ma anche non troppo, fidazata di coach Zen, che ridimensiona il caso riducendo tutto a un malinteso e già che è in ritmo dando dell'idiota al fratello. E qui chiudiamo, degnamente, la seconda puntata.
TERZO EPISODIO: L'OMBRA DI Mr. LOGO
Kobe Bryant, che quando vede rosso attacca, esce allo scoperto, invocando a gran voce il ritorno di Jerry West al timone delle operazioni fino al 2000 (lasciate, sembra pare e si dice, per dissapori con la dirigenza e coach Jackson). Aggiunge senza problemi: "Io credo ciecamente in Jerry, non voglio incolpare o cacciare nessuno, Mitch è un ottimo ragazzo, ma West mi conosce perfettamente e sa cosa serve per vincere". West intanto, casualmente in scadenza di contratto con Memphis e libero dal 1 luglio, si appresta a tornare nella sua casa di Bel Air.
Che Kupchak piaccia a pochi non è una novità. Anche se come GM ha vinto i totoli del 2001 e 2002, dove sostanzialmente ha raccolto i frutti di West, di lui non si ricorda una mossa di mercato degna di nota, compreso il colpo Payton-Malone giunti in gialloviola convinti dalle parole di Shaq. Che il suo contratto in scadenza il prossimo anno non venga rinnovato è cosa certa. Nel frattempo Bryant (che, ricordiamo, ha un opzione per uscire dal contratto fra due anni) assicura a tutti che sarà un Lakers a vita mettendo a tacere i primi rumors che lo volevano sul piede di partenza in caso West non fosse stato assunto.
Il set e le riprese si trasferiscono in infermeria dove da male si tende al peggio. Colpo basso: Odom e Bynum, rispettivamente primo e secondo indiziato per essere inseriti in una possibile trade, si devono operare e ne avranno fino a tardo novembre rendendo ogni cosa drammaticamente più complicata.
QUARTO EPISODIO: IL BOSS E LA MODELLA
Puntata cult: Buss Jerry, anni 74 e non sentirli, per rendere più pepata l'atmosfera e dargli quel tocco in più, si fa sorprendere dalla polizia di Carlsbad (splendido sobborgo stile olandese che bacia il Pacifico) per guida in stato di ebbrezza. Al suo fianco l'immancabile 23 enne modella di un certo spessore. La notizia non sorprende nessuno.
QUINTO EPISODIO: IL 24 FURIOSO
Il sole non fa in tempo a tramontare e le luci del Sunset Strip ad accendersi che il 24 riprende in mano il gioco. L'occasione la fornisce un intervista radiofonica a Stephen Smith di ESPN Radio dove, incalzato sull'argomento, esplode tuonando. E le sue parole fanno male, male vero. "Voglio essere ceduto, arrivare a questa conclusione è davvero dura per me, ma non ho altre alternative. I Lakers vogliono ricostruire la squadra, io però ho altri progetti, non posso aspettare ancora. Avrebbero dovuto essere più chiari quando tre anni fa firmai la mia estensione". E aggiunge rincarando: "Nella situazione in cui mi sento ora, andrei a giocare anche su Plutone".
Il malumore ha radici profonde e non figlio di uno sfogo improvviso o di un rigurgito d'orgoglio. Kobe paga, di fronte all'opinione pubblica, l'idea che la colpa della dipartita di Shaq sia sua, quando in realtà fu Buss a non volere allungare il contratto a The Diesel agevolando il suo viaggio verso Miami. Retroscena: è cosa nota fra le palme della California che Shaq chiedeva un prolungamento triennale di 80$, esattamente 15$ in più di quello che il proprietario offriva. Visto la posizione rigida delle due parti, trade inevitabile con Kupchak che commette l'errore capitale di non chiedere Wade, considerandolo un doppione dell'allora 8.
SESTO EPISODIO: LE SCUSE SU POWER 106
Dopo aver minacciato di andare su Plutone, spazio poche ore, Kobe fa ritorno sulla Terra e addolcisce le parole, complici due telefonate (Jackson e Magic) che gli fanno cambiare idea.
Il mezzo scelto per le scuse è la radio: le dichiarazioni di rito a vanno in onda sulle frequenze di KLAC, la radio ufficiale dei lacustri.
Ma la vera confessione, rivolta al popolo purple and gold e fatta con il cuore in mano, va in onda su Power 106. L.A. Power106 è La (rigorosamente maiuscola) radio hip hop della Città degli Angeli, forse la più nota d'America nel settore, il cuore nero di L.A.
Le parole rivolte a Jeff Garcia sono al miele e convinte.
"Spero che la dirigenza faccia qualcosa, perchè io non voglio andare da nessuna parte" dice "Voglio stare qui. Sono stato tifoso Lakers fin da bambino, ho iniziato la mia carriera con questa maglia e con questa voglio finire, sono un die hard lakers fan". Questo, pressapoco, il riassunto di una conversazione che ridimensiona il caso e fa rientrare l'allarme.
E' riesploso l'amore? Non del tutto o perlomeno non esattamente.
Inevitabili impazzano le discussioni sui quotidiani e i sondaggi: meglio cedere Kobe o meglio vivere con la moglie separata in casa?
Personalmente, sarà il cuore che me lo suggerisce ma anche la logica, vedo molto difficile che il 24 lasci Los Angeles o che la dirigenza si privi di lui.
Si è parlato di qualsiasi tipo di trade: a Phoenix per Marion e Diaw, o a Chicago per Deng e Gordon, o a Indiana per O'Neal e qualcun altro, ma il discorso non avrebbe alcun senso. Troppo squilibrata la contropartita in ogni caso. E i Lakers lo sanno. Al giorno d'oggi, se guardiamo il valore tecnico, Kobe è cedibile alla pari solo con LeBron o Wade, il che preclude ogni tipo d'operazione.
Jerry Buss è stato fin troppo chiaro dopo aver parlato con il suo giocatore -franchigia nel post terremoto: "Non esiste nessuno, ripeto nessuno sulla Terra che scambierei per Kobe. Punto."
E allora la soluzione è presto scritta: accontentare Kobe sempre e comunque.
Subito è circolata la notizia, diffusa ad arte per placare i bollori, che i contatti per portare Marcus Camby in gialloviola siano a buon punto in uno scambio alla pari che vedrebbe come contromerce Kwame Brown.
Primo dubbio: se è vero che Kwame costa 9 milioni ed è in scadenza quindi appetibilissimo, è anche vero che arriverebbero 26 milioni da accollarsi per i prossimi tre anni, il che chiuderebbe il mercato da qui al 2010.
Secondo dubbio: siamo sicuri che sia Camby il giocatore che cambia i destini dei Lakers, per pur bravo che sia? La risposta la sapete da soli.
Così, mentre West prepara lo scatolone di cartone con gli effetti personali per riprendere il suo posto dal 1 luglio a El Segundo, giungono notizie dal box office. Con i vecchi abbonati che hanno riconfermato per il 97% il proprio posto i biglietti allo Staples nella prossima stagione (sponda Lakers chiaramente) aumenteranno del 5%, confermando il primato nella speciale classifica fra le arene d'America.
In un giugno atipico con i Mighty Ducks, orgoglio Disney, che vincono la Stanley Cup di hockey, rubando un po' di titoli alla telenovela, scattano inevitabili i paragoni.
Con il biglietto bordo campo, dove se voglio tocco il ghiaccio, con cui vado a vedere i Ducks al Pound di Anaheim, allo Staples mi accomodo fra il primo e il secondo anello. Bello no?
Come dite? Giugno è il mese delle finali NBA con gli odiati Spurs pronti per il quarto sigillo?
Who cares.
Così, mentre tutto il mondo cestistico si scandalizza, sotto l'incantato cielo di L.A. la notizia viene presa con estrema filosofia e tranquillità.
Una storia già vista, che non scompone più di tanto l'angleno mentre legge il giornale nei bistrot di Venice, più interessato alla riedizione moderna de "Le mie Prigioni" scritta da Paris Hilton o ai guai gidiziari di Lindsay Lohan.
La nuova storia che si sviluppa in casa gialloviola ha tutti gli ingredienti che servono per essere la vostra telenovela preferita: le comparse non richieste, le liti, le ripicche, gli amori traditi, il perdono, il nuovo amore. E qual è il posto più bello per ambientare il tutto se non Hollywood? "The dreams start here" dice un cartello posto davanti al Beverly Hills Hotel, meta storica di attori e modelle su Sunset blv.
Ma certe volte i sogni posso anche finire, deve aver pensato forse il più importante degli attori che popolano L.A.: Kobe Bryant. Fin da quando è entrato in the L ha diviso, divide ancora e dopo questa storia dividerà ancora di più.
"Hate me or love me" proprio come cantava 2pac, l'altro re immortale della Los Angeles nera.
"Another Drama in L.A. summer" è il titolo che i giornali si sono affrettati a dare e, vi confesso, in molti han tirato un sospiro di sollievo. Colpa della nostalgia canaglia, quando Kobe e Shaq si scambiavano insulti da sotto l'ombrellone e poi vincevano regolarmente l'anello da migliori amici. Partito Shaq (c'è ancora chi, come me, fatica a vederlo in maglia Heat), le estati sono trascorse tranquille con un Kobe calato nel ruolo di buon padre, silenzioso e prodigo di consigli per i giovani compagni. Colpo di scena: le tante sconfitte, la frustrazione di vedere un progetto di ricostruzione non così rapido come doveva essere, la consapevolezza di essere una first round playoff team devono aver scatenato l'orgoglio del campione ferito.
E allora mi rimbalzano in mente le parole di John Salley (uno che, oltre a vincere tre titoli, ha avuto il privilegio di giocare sia con MJ che con Kobe) che riconduceva la differenza fra un grande e un grandissimo giocatore solo a un fatto esclusivamente mentale e non tecnico.
"Questi grandi campioni sono accompagnati" continuava " inevitabilmente, da un ego smisurato che li porta a superare tutto e tutti e soprattutto (cerco le parole per renderlo meno colorito di quanto riferitomi) hanno due grandi attributi. Kobe è esattamete questo giocatore, il migliore senza dubbio oggi come oggi nell'NBA (non voglio sentir ragioni) con una voglia di vincere famelica e feroce dentro che lo ha sempre caratterizzato".
Dunque, sigla, titolo e ....
PRIMO EPISODIO: L'AMARA ELIMINAZIONE
Fuori da Phoenix in 5 partite con l'amara sensazione di non essere stati mai all'altezza, Kobe ha pensato un paio di notti e poi si è presentato in sede. Niente saluti per le vacanze, niente cena sociale di fine anno, niente abbracci, ma riunione fiume di 5 ore con Jakcson e Kupchak dove il 24 mette le carte in tavola. Finita gara 5 era stato chiaro: "Dobbiamo fare qualcosa e quel qualcosa lo dobbiamo fare subito, questa è una città competitiva, siamo abituati a vincere titoli, non uscire al primo turno".
C'è un piccolo-enorme problema: i Lakers non possono spendere grandi soldi essendo già 3,4 milioni di dollari sopra il salary cap. Solo la mid level exception permette di muovere qualcosa anche se il rinnovo di Walton chiede attenzione. In parole povere significa solo una cosa: o trade o....trade per portare il big tanto agognato vicino a Kobe.
Kupchak, nell'occhio del ciclone come non mai, ribadiva il concetto: "Ci sentiamo tutti allo stesso modo, faremo il possibile perchè vogliamo tornare ad essere una contender già dal prossimo anno".
SECONDO EPISODIO: LA GUERRA DEI BUSS
Passa una settimana, con i nomi di Garnett e Jermaine O'Neal che rimbalzano, stessa spiaggia stesso mare, sale alle cronache (senza che se ne sentisse il bisogno) Jim Buss, figlio di Jerry, alla disperata ricerca di ritagliarsi un ruolo di rilievo nell'organizzazione (senza peraltro riuscirci). Con l'atmosfera già tranquilla di suo, pensa bene di criticare il lavoro di Jackson per questioni meramente legate all'utilizzo di Bynum, sua scelta. Pronta e piccata la risposta di Jamie Buss (la sorella) casualmente, ma anche non troppo, fidazata di coach Zen, che ridimensiona il caso riducendo tutto a un malinteso e già che è in ritmo dando dell'idiota al fratello. E qui chiudiamo, degnamente, la seconda puntata.
TERZO EPISODIO: L'OMBRA DI Mr. LOGO
Kobe Bryant, che quando vede rosso attacca, esce allo scoperto, invocando a gran voce il ritorno di Jerry West al timone delle operazioni fino al 2000 (lasciate, sembra pare e si dice, per dissapori con la dirigenza e coach Jackson). Aggiunge senza problemi: "Io credo ciecamente in Jerry, non voglio incolpare o cacciare nessuno, Mitch è un ottimo ragazzo, ma West mi conosce perfettamente e sa cosa serve per vincere". West intanto, casualmente in scadenza di contratto con Memphis e libero dal 1 luglio, si appresta a tornare nella sua casa di Bel Air.
Che Kupchak piaccia a pochi non è una novità. Anche se come GM ha vinto i totoli del 2001 e 2002, dove sostanzialmente ha raccolto i frutti di West, di lui non si ricorda una mossa di mercato degna di nota, compreso il colpo Payton-Malone giunti in gialloviola convinti dalle parole di Shaq. Che il suo contratto in scadenza il prossimo anno non venga rinnovato è cosa certa. Nel frattempo Bryant (che, ricordiamo, ha un opzione per uscire dal contratto fra due anni) assicura a tutti che sarà un Lakers a vita mettendo a tacere i primi rumors che lo volevano sul piede di partenza in caso West non fosse stato assunto.
Il set e le riprese si trasferiscono in infermeria dove da male si tende al peggio. Colpo basso: Odom e Bynum, rispettivamente primo e secondo indiziato per essere inseriti in una possibile trade, si devono operare e ne avranno fino a tardo novembre rendendo ogni cosa drammaticamente più complicata.
QUARTO EPISODIO: IL BOSS E LA MODELLA
Puntata cult: Buss Jerry, anni 74 e non sentirli, per rendere più pepata l'atmosfera e dargli quel tocco in più, si fa sorprendere dalla polizia di Carlsbad (splendido sobborgo stile olandese che bacia il Pacifico) per guida in stato di ebbrezza. Al suo fianco l'immancabile 23 enne modella di un certo spessore. La notizia non sorprende nessuno.
QUINTO EPISODIO: IL 24 FURIOSO
Il sole non fa in tempo a tramontare e le luci del Sunset Strip ad accendersi che il 24 riprende in mano il gioco. L'occasione la fornisce un intervista radiofonica a Stephen Smith di ESPN Radio dove, incalzato sull'argomento, esplode tuonando. E le sue parole fanno male, male vero. "Voglio essere ceduto, arrivare a questa conclusione è davvero dura per me, ma non ho altre alternative. I Lakers vogliono ricostruire la squadra, io però ho altri progetti, non posso aspettare ancora. Avrebbero dovuto essere più chiari quando tre anni fa firmai la mia estensione". E aggiunge rincarando: "Nella situazione in cui mi sento ora, andrei a giocare anche su Plutone".
Il malumore ha radici profonde e non figlio di uno sfogo improvviso o di un rigurgito d'orgoglio. Kobe paga, di fronte all'opinione pubblica, l'idea che la colpa della dipartita di Shaq sia sua, quando in realtà fu Buss a non volere allungare il contratto a The Diesel agevolando il suo viaggio verso Miami. Retroscena: è cosa nota fra le palme della California che Shaq chiedeva un prolungamento triennale di 80$, esattamente 15$ in più di quello che il proprietario offriva. Visto la posizione rigida delle due parti, trade inevitabile con Kupchak che commette l'errore capitale di non chiedere Wade, considerandolo un doppione dell'allora 8.
SESTO EPISODIO: LE SCUSE SU POWER 106
Dopo aver minacciato di andare su Plutone, spazio poche ore, Kobe fa ritorno sulla Terra e addolcisce le parole, complici due telefonate (Jackson e Magic) che gli fanno cambiare idea.
Il mezzo scelto per le scuse è la radio: le dichiarazioni di rito a vanno in onda sulle frequenze di KLAC, la radio ufficiale dei lacustri.
Ma la vera confessione, rivolta al popolo purple and gold e fatta con il cuore in mano, va in onda su Power 106. L.A. Power106 è La (rigorosamente maiuscola) radio hip hop della Città degli Angeli, forse la più nota d'America nel settore, il cuore nero di L.A.
Le parole rivolte a Jeff Garcia sono al miele e convinte.
"Spero che la dirigenza faccia qualcosa, perchè io non voglio andare da nessuna parte" dice "Voglio stare qui. Sono stato tifoso Lakers fin da bambino, ho iniziato la mia carriera con questa maglia e con questa voglio finire, sono un die hard lakers fan". Questo, pressapoco, il riassunto di una conversazione che ridimensiona il caso e fa rientrare l'allarme.
E' riesploso l'amore? Non del tutto o perlomeno non esattamente.
Inevitabili impazzano le discussioni sui quotidiani e i sondaggi: meglio cedere Kobe o meglio vivere con la moglie separata in casa?
Personalmente, sarà il cuore che me lo suggerisce ma anche la logica, vedo molto difficile che il 24 lasci Los Angeles o che la dirigenza si privi di lui.
Si è parlato di qualsiasi tipo di trade: a Phoenix per Marion e Diaw, o a Chicago per Deng e Gordon, o a Indiana per O'Neal e qualcun altro, ma il discorso non avrebbe alcun senso. Troppo squilibrata la contropartita in ogni caso. E i Lakers lo sanno. Al giorno d'oggi, se guardiamo il valore tecnico, Kobe è cedibile alla pari solo con LeBron o Wade, il che preclude ogni tipo d'operazione.
Jerry Buss è stato fin troppo chiaro dopo aver parlato con il suo giocatore -franchigia nel post terremoto: "Non esiste nessuno, ripeto nessuno sulla Terra che scambierei per Kobe. Punto."
E allora la soluzione è presto scritta: accontentare Kobe sempre e comunque.
Subito è circolata la notizia, diffusa ad arte per placare i bollori, che i contatti per portare Marcus Camby in gialloviola siano a buon punto in uno scambio alla pari che vedrebbe come contromerce Kwame Brown.
Primo dubbio: se è vero che Kwame costa 9 milioni ed è in scadenza quindi appetibilissimo, è anche vero che arriverebbero 26 milioni da accollarsi per i prossimi tre anni, il che chiuderebbe il mercato da qui al 2010.
Secondo dubbio: siamo sicuri che sia Camby il giocatore che cambia i destini dei Lakers, per pur bravo che sia? La risposta la sapete da soli.
Così, mentre West prepara lo scatolone di cartone con gli effetti personali per riprendere il suo posto dal 1 luglio a El Segundo, giungono notizie dal box office. Con i vecchi abbonati che hanno riconfermato per il 97% il proprio posto i biglietti allo Staples nella prossima stagione (sponda Lakers chiaramente) aumenteranno del 5%, confermando il primato nella speciale classifica fra le arene d'America.
In un giugno atipico con i Mighty Ducks, orgoglio Disney, che vincono la Stanley Cup di hockey, rubando un po' di titoli alla telenovela, scattano inevitabili i paragoni.
Con il biglietto bordo campo, dove se voglio tocco il ghiaccio, con cui vado a vedere i Ducks al Pound di Anaheim, allo Staples mi accomodo fra il primo e il secondo anello. Bello no?
Come dite? Giugno è il mese delle finali NBA con gli odiati Spurs pronti per il quarto sigillo?
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