oooohh... oooohh...
one two three four...
i seem to recognize your face...
è iniziato così. un accordo di chitarra e una frase da profezia che si avvera, e i pearl jam hanno sfondato la porta. "eccoci qui", hanno detto, e io ero lì, come avevo promesso, come doveva essere, come da cinque anni sognavo e aspettavo che accadesse. sono tornati in italia, 75 mesi e due album dopo, e a cantare a squarciagola e a percorrere il paese per star loro dietro c'ero anch'io, perchè questo era il delirio che mancava, e sicneramente non avrei sopportato nemmeno per un secondo di essermeli persi.
hanno iniziato con small town, trasformando bologna in una polveriera, e volendo guardare a fondo, e forse nemmeno troppo, hanno scelto la canzone perfetta, almeno per me, quasi a chiudere una storia apertasi di fronte a un muro di un appartamento che le ha viste tutte. quella era stata la miccia che più o meno inevitabilmente aveva innescato tutte le bombe che erano poi arrivate; i cd masterizzati, i testi tradotti, le lezioni date a gratis. i pearl jam erano entrati di schianto nella mia vita, come di schianto può entrare solo un vero amore; e solo a un vero amore potevo infondere quella che è sempre stata più di una passione, e solo un vero amore poteva aver dentro la voglia e la gioia di condividere un bene regalato, andando a leggere ben oltre le righe di un discorso che tecnico non era pur avendone, a volte, la parvenza. come sia finita è storia nota, come è noto che di tristezza ce n'è stata molta; ma passando da i am mine al vero significato di betterman, assorbendo la bellezza subitanea di sad e il testo di crazy mary, non c'è nulla di vedder e compagni che sia andato perduto o abbia mancato di valore, e non c'è nulla che mi abbia fatto sentire male o abbattuto riascoltando quelle note troppo simili, in talune circostanze, a una colonna sonora. perchè i pearl jam erano e sono innanzitutto miei, come i beatles erano di rob fleming, e niente e nessuno, neanche le intemperie della vita, avrebbe potuto macchiare i riff di gossard e gli assoli di mccready , nè il devastante impatto della state of love and trust di milano e pistoia.
quattro serate di commozione, chiuse come da copione da yellow ledbetter, e scusate se non vado a fondo nel descrivere quello che i quattro palchi hanno fatto vedere e sentire: certe cose non si possono raccontare, devono restare pure, senza che banali cronache ne tolgano la forza d'urto e l'esclusività dell'avvenimento.
si potrebbe raccontare di una bologna senza corduroy e rearviewmirror, dell'attesa di torino, lunga quattro minuti buoni, prima dell'esplosione di saw things... saw things..., si potrebbe raccontare che al forum stavo per precipitare dalla balaustra all'attacco di state of love and trust, sarebbe bello descrivere il momento in cui eddie ha annunciato this is for this flag here... one quick one... ed è partita, tempo zero, tremor christ (tremor christ!!!), urlerei per anni la gioia provata nell'udire il trittico di pistoia dissident breath i got shit, ma la verità è che non sono in grado di narrare le cose come meriterebbero... e allora, lasciamo stare.
i pearl jam torneranno, o forse non torneranno, e io andrò a vederli oppure no; ma quella prima volta, questo settembre di urla e sudore e di chilometri nella notte, resterà unica. come sono unici loro, senza il bisogno di scomodare altri gruppi più o meno geniali. perchè di ragazze belle o bellissime è pieno il mondo; ma quella che ami, fino a prova contraria, è una sola.
Thursday 22 March 2007
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1 comment:
questo o blog è un delirio!
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